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Chi pensa sia finita si sbaglia di grosso. Chi continua a ripetere che tutto si risolverà appena gli stati taglieranno la spesa pubblica è un ottimista (ossia un realista male informato). Chi crede che ci salveremo esportando più merci, coltiva una pia speranza.

Tutti costoro dovrebbero prendersi un’oretta e leggere le ultime notizie sull’eurozona pubblicate dal Fondo monetario internazionale. Scoprirebbero, fra l’altro, una cosa: la bolla del credito facile, che ha iniziato a gonfiarsi dopo l’introduzione dell’euro, ha creato una bolla di debiti privati che non solo ha devastato le contabilità pubbliche, ma non accenna a diminuire. Questa minaccia incombe sull’eurozona, aggravata, se possibile, dalla circostanza che non risparmia neanche i paesi più in salute come l’Olanda.

Scoprirebbero anche un’altra cosa: il debito privato è molto più pericoloso del debito pubblico. “Le analisi suggeriscono che il debito nel settore privato può nuocere alla crescita più del debito pubblico”. Anzi: “Un alto livello di indebitamento di famiglie e imprese ha effetti negativi sulla crescita anche se questi settori sono gli unici indebitati in un’economia”. Parola del Fmi. Gli odiatori professionisti del debito pubblico dovranno farsene una ragione.

Vediamo i dati partendo dalle famiglie. Pur essendo in media meno indebitate rispetto a quelle inglesi e americane, il debito è cresciuto costantemente dal 2003 in poi, spinto dal boom immobiliare. Le famiglie europee si sono riempiti di mutui per comprare beni immobiliari pesantemente sopravvalutati grazie alla compiacenza delle banche, con la consengueza che quando la bolla è esplosa, e quindi i prezzi sono diminuiti, il valore relativo dei loro debiti è aumentato. A fine 2009 il debito totale delle famiglie europee quotava intorno al 70% del Pil dell’area, ben al di sotto di quello delle famiglie americane e inglesi (intorno al 100% dei rispettiviti Pil). Ma mentre per quest’ultime il biennio 2010-12 ha visto l’inizio di una sostanziale correzione, con i debiti delle famiglie inglesi diminuiti del 10% del Pil e di quelle americane di quasi il 20%, la situazione delle famiglie europee è rimasta sostanzialmente stagnante. E il fatto che le famiglie abbiano buoni asset non rassicura, visto che “sono spesso illiquidi”, specie nella periferia. Il mattone, appunto, bloccato da una crisi di domanda dalla quale non si vede uscita.

Lato corporate la situazione è pure peggiore. Nell’eurozona le non financial corporation hanno debiti superiori al 100% del Pil che non accennano a diminuire, peggio persino degli Usa (circa 80%) ma meglio che in Gb, dove però dal picco del 120% raggiunto nel 2009 si è scesi di circa il 5% nel biennio 2010-12. “Il debito del settore corporate è aumentato significativamente nei primi dieci anni dell’euro”, scrive il Fondo. Chissà come mai. Senonché debiti crescenti a fronte di asset che perdono valore (come il mattone per le famiglie) hanno aumentato il tasso di leverage durante la crisi. “In alcune economie dell’area fino al 20% del debito corporate può essere non sostenibile”.

Tutto ciò non può che avere effetti sul settore finanziario. Aumentando i tassi di insolvenza di famiglie e aziende, aumentano le sofferenze e quindi lo stato di salute degli istituti di credito che, per salvarsi, sono costretti a stringere i cordoni della borsa facendo regredire ulteriormente l’economia. Tanto più se le risorse finanziarie delle banche finiscono con l’essere dedicate all’acquisto di bond pubblici. Le sofferenze bancarie (Non performing loans) sono schizzate dal 5 al 20% in Grecia, fra il 2007 e il 2012, ma aumenti si sono registrati in tutti i paesi dell’area, mentre la profittabilità delle banche è ridotta al lumicino.

Questa mole di debito privato ha generato un altro effetto devastante: quella che il Fmi chiama “migrazione del debito dal settore privato a quello pubblico”. “Nella fase del boom il settore privato aumentava i suoi debiti, mentre quello pubblico li riduceva”, scrive il Fmi. Tutti ricordiamo i tempi della Spagna con il debito/Pil al 60%. Ma appena la crisi è esplosa e il settore privato ha iniziato faticosamente il processo di de-leveraging “il debito è migrato al settore pubblico”, che infatti nell’area era intorno al 75% del Pil nel 2009 ed è arrivato quasi al 100% del Pil nel 2012. Questo per quelli che dicono che è colpa degli stati spendaccioni se l’economia va male.

Il risultato è stato che alla mole del debito del settore privato si è aggiunta anche quella del debito pubblico. Questo combinato disposto non ha risparmiato nessuno. Per una Grecia che ormai quota un livello totale di debiti (fra pubblici e privati) di quasi il 300% del Pil, abbiano un’Olanda che sta di poco sotto, mentre la virtuosa Germania ha debito totali per il 200% del Pil. “Quando tutti i settori sono indebitati – conclude il Fmi – si accumulano notevoli debiti esteri”. Debiti, inutile dirlo, che sarà praticamente impossibile ripagare.

“Ridurre i debiti esteri netti a un livello sopportabile richiederebbe notevoli aggiustamenti dei prezzi relativi, che implica invertire l’aumento del costo del lavoro per ottenere dei surplus sul conto corrente”. Quindi deflazionare i salari per aumentare la competitività ed esportare di più.

Ma anche a queste condizioni, quanto tempo ci vorrà per far tirare il fiato ai quattro Pigs? Secondo le proiezioni del Fmi il debito estero netto di Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda arriverà sotto l’80% del Pil entro il 2018. “Tuttavia – scrive il Fmi – annullare la metà del peggioramento registrato negli anni 2000-12 (gli anni dell’euro, ndr) richiederà 15 anni per la Grecia, 11 per l’Irlanda, 37 anni per il Portogallo e 12 per la Spagna”.

Se poi si volesse raggiungere il target ideale fissato dalla Commissione europea (debito netto estero pari al 35% del Pil), per centrare tale obiettivo alla Grecia servirebbero 32 anni, all’Irlanda 18, alla Spagna 20 e al portogallo addirittura 73.

Il dividendo dell’euro, per questi paesi, è un debito estero praticamente eterno che li condannerà a vivere sotto il tallone di ferro delle varie troike.

Questa è la potenza del debito privato.

La bolla del debito privato che incombe sull’eurozona

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