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Il 23 luglio era il ventesimo anniversario del celebre Protocollo del 1993 che ha regolato le relazioni industriali per anni, contribuendo a portare l’inflazione a un livello compatibile con l’accesso del Paese al club della moneta unica. In quella stessa giornata (ben pochi si sono ricordati di celebrarne la ricorrenza) a Milano le parti sociali (inclusa la Cgil, una precisazione necessaria da fare per poter prendere sul serio qualunque intesa) hanno sottoscritto un accordo dedicato alla gestione del personale durante l’Expo.

Due eventi significativi

Al di là dei contenuti di merito di cui parleremo più avanti, è il caso di notare che i due eventi segnalano, almeno in parte, quel profondo mutamento che, pur tra tante resistenze e contraddizioni, è in corso nel campo delle relazioni industriali. Vent’anni or sono, le sorti della contrattazione collettiva vennero affidate a un’istanza centralizzata che dettò le direttive a cui i livelli di categoria e decentrati avrebbero dovuto attenersi nelle loro negoziazioni. Oggi l’input viene dal territorio, laddove il problema si pone, tanto che il presidente del Consiglio attribuisce a quel patto il valore di una buona pratica, da adottare a livello nazionale.

Contratti stile Expo

In sostanza l’Expo spa effettuerà 800 assunzioni (con contratti di apprendistato, a termine e stages). Così i quotidiani si sono affrettati a tessere le lodi di un’intesa sulla flessibilità che ha coinvolto pure la Cgil. Ma è davvero così importante il tasso di flessibilità introdotto a Milano da meritare tanti omaggi ? Diciamoci la verità: l’Expo è pur sempre un fatto straordinario, limitato nel tempo, a fronte del quale nessuno può presumere che l’organizzazione e la gestione dell’evento dia luogo ad assunzioni stabili. Del resto, anche la tipologia dei contratti da adottare è un indice di tale consapevolezza. Se i contratti di apprendistato (di cui sono stati definiti anche i nuovi profili professionali) potranno sfociare più facilmente in un rapporto a tempo indeterminato, non sarà così per i contratti temporanei (la causalità sarà definita all’interno dell’accordo stesso) e tanto meno per gli stages. Ma nell’insieme siamo molto al di sotto, per quanto si conosce, dall’operazione prefigurata in vista dell’Expo. Nel dibattito che ha preceduto il pacchetto Giovannini era stata ipotizzata, su tutto il territorio nazionale, un’estensione dell’acausalità nei contratti a termine ben oltre i 12 mesi già consentiti per effetto della legge n.92/2012 (la riforma Fornero), a valere da adesso a tutto il periodo di durata della manifestazione. Nell’accordo, invece, tali contratti (a fronte della predeterminazione della causale all’interno dell’accordo stesso) dovranno avere una durata minima di sei ed una massima di dodici mesi; una cautela di nessuna utilità per gli stessi lavoratori, visto che molti di loro non riusciranno a coprire l’intero periodo della manifestazione e dovranno essere sostituiti, perché avranno superato i limiti temporanei permessi. Che dire? Si fa sempre ciò che è possibile, ma è opportuno riconoscere anche i limiti di un’intesa.

La parola alla Corte

Sempre il 23 luglio è stata resa nota la motivazione della sentenza n. 231 dell’anno in corso con la quale la Consulta – intervenendo nel contenzioso tra la Fiat e la Fiom unitamente ad altre vicende del settore del commercio – ha dichiarato la parziale illegittimità dell’articolo 19 dello Statuto in forza del quale la Fiat aveva estromesso la Fiom – in quanto non firmataria dei contratti applicati negli stabilimenti – dall’esercizio dell’attività sindacale. Si dice che le sentenze della magistratura non si discutono, soprattutto se sono scritte dal giudice delle leggi e sono inappellabili. Ma le motivazioni convincono ancor meno del dispositivo che riportiamo di seguito: la Corte costituzionale “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 19, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”.

I dubbi sulla sentenza

Di grazia, che cosa significa “partecipare alla negoziazione….quali rappresentanti dei lavoratori in azienda”? A quante sessioni di trattative occorre prender parte per rientrare nei parametri della rappresentatività? E quale linea di condotta è necessario tenere al tavolo del negoziato? Collaborativa o di rottura? L’articolo 19, nella parte dichiarata illegittima, richiedeva un comportamento molto concreto: quello di apporre la firma in calce a un testo. Nei principi generali di interpretazione delle norme giuridiche è stabilito che si debba, prioritariamente, attenersi alla lettera del testo.

Corte contraddittoria

Per quanti sforzi evolutivi si facciano in nessun dizionario dei sinonimi si troverà scritto che firmare equivale a partecipare alle trattative. Poi, a noi pare che ci sia un argomento inconfutabile che nessuno ha sollevato fino ad ora. La Consulta, al pari di ogni Corte di Giustizia, ha il diritto di modificare il proprio orientamento giurisprudenziale, ma ha il dovere di spiegare perché, nel 1995, ritenne di ammettere alla consultazione il quesito referendario che, allora, riscrisse l’articolo 19 dello Statuto, visto che, una volta approvato, avrebbe prodotto effetti illegittimi sul piano costituzionale. Quegli stessi effetti che oggi ha sanzionato.

 

Expo e Fiat, euforia eccessiva e dubbi sulla Corte

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