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Ultima opera, in ordine cronologico, della trilogia, oltre che la più scarna e la più economica delle tre (richiede solo sei cantanti, un piccolo coro, un organico orchestrale modesto) è  stata ambientata nei contesti più diversi: da terme pompeiane prima dell’eruzione del Vesuvio a Pompei (Roma, Teatro dell’Opera), a giardini cinesi e persiani (due differenti edizioni a Aix-en-Provence), dalla contemporaneità stile Armani (vari teatri); alla Francia pre-rivoluzionaria del Marchese de Sade (Bologna); a graziosa oleografia partenopea, come vista da turisti (Metropolitan); e via discorrendo.

Funziona quasi sempre anche se a mio avviso la produzione più affascinante è quella che nel 2005 ha segnato il ritorno alla regia lirica, dopo dieci anni, di Patrice Chéreau, in compagnia di Richard Peduzzi (suo scenografo abituale ed allora direttore dell’Istituto francese di cultura a Villa Medici a Roma), di Daniel Harding e di un cast di giovani, in cui l’allora 64enne Ruggero Raimondi affrontava il ruolo di Don Alfonso da lui raramente interpretato in oltre 41 anni di carriera, l’altra “anziana” Barbaro Bonney interpretava quello della servetta quindicenne Despina.

Nel 2006-2007, lo spettacolo si è visto a Parigi, Vienna, New York, Baden-Baden ed altre città. A Salisburgo, nel 2009, debuttò una versione ‘crudele’ imperniata sull’infedeltà umana (quella che vedremo tra qualche mese alla Scala). Ancora più cruda quella dei fratelli Hermann, che debuttò a Salisburgo nel 2001, vi tornò tre volte e si è vista, oltre che a Vienna, in molti altri teatri (ma non in Italia).

L’intreccio

L’intreccio è noto. Su invito del loro precettore, per l’appunto Don Alfonso, due bei giovani napoletani fidanzati a due belle sorelle ferraresi, le mettono alla prova travestendosi da ricchi albanesi e corteggiando l’uno la ragazza dell’altro; hanno successo (tanto più che Despina invita le fanciulle a “fare all’amore come assassine”) sino ad un doppio matrimonio: ciascuno con la fidanzata iniziale che ha tradito e di cui sa di essere stato tradito con il suo migliore amico.

La difficoltà, il punto centrale e l’esito

La principale difficoltà di realizzazione (sia scenica sia musicale) di “Così” consiste nel fatto che mentre la prima parte è brillante ed ironica, la seconda è un’amara riflessione in cui ciascuno è, al tempo stesso, infedele e geloso. Il punto centrale, però, è che il “gioco” di ciascun componente del quartetto delle due coppie è multiplo: su un tavolo giocano la “reputazione” (di essere fedeli al fidanzato/ta) su un altro l’”abilità” (di sedurre/essere sedotti dal fidanzato/ta del miglior amico/della migliore amica). L’esito: un equilibrio dinamico alla Nash, quindi sempre instabile. Come quello del complicato finale – oltre venti minuti, articolati in varie sezioni (un allegro assai di apertura, un vivace, un andante, un quartetto larghetto, un nuovo allegro ed un vivace sestetto).

L’epistolario di Mozart (pubblicato in italiano dalla Zecchini Editori) ci dice poco sull’effettiva comprensione da parte dei due autori di ciò che nascondesse il “dramma giocoso”, scritto e composto guardando al botteghino. Da Ponte era molto attivo alla ricerca di donne, ai tavoli da gioco d’azzardo e a sfuggire i creditori. Mozart era in bolletta, con una famiglia da mantenere, e già sofferente di nefrite.

L’idea di fondo della esemplare versione di Chéreau era quella di porre l’accento sul sottile ricamo di finzioni sin dalla prima battuta. L’intreccio si svolge sul palcoscenico nudo di un teatro – è in effetti, quello del Teatro Valle a Roma – ,quasi a voler accennare al teatro-nel-teatro (finzione per eccellenza), senza, però, svelarlo a  Lapieno. Alla “scuola degli amanti” si apprende che l’amore è libertà, ma che proprio in quanto libertà non può non comportare dolore ed inganno. Chéreau ha chiesto, ed ottenuto, otto settimane di prove (un record per l’opera lirica) prima del debutto e ha ritoccato ancora lo spettacolo tra una replica e l’altra. Harding ha assecondato questa chiave di lettura guidando la Mahler Chamber Orchestra in modo che si vada con grande dolcezza (e senza quasi avvertirne il passaggio) dai recitativi, alle arie, ai duetti, ai terzetti, ai quartetti ed ai concertati.

La vera sfida

Insisto sull’edizione Chéreau-Harding perché la considero la sfida vera di Sven Erich-Bechtolf (regia), Christoph Eschembach (direzione musicale) , Rolf Gittemberg (Scene), Marianne Glittemberg (costumi) e dei sei cantanti (Malin Hartelius, Marie-Claude Chappuis, Martina Janková, Martin Mitterrutzern, Luca Pisaroni, Gerald Finley) chiamati a sostenere i complessi ruoli. Dei sei, cinque sono giovani , provenienti dalla squadra affiatatissima di Zurigo, mentre Finley è una ‘star’ internazionale. La sfida è raccolta ma solo con il necessario rodaggio si potrà di dire che si è raggiunto il primato della produzione di Aix del 2005.

Il dramma giocoso

Bechtolf e Eschembach mostrano sin dalle prime battute che lo sguardo disincantato di Da Ponte e Mozart riguarda, nonostante il titolo, sia gli uomini sia le donne. Il compositore non condanna e non accusa (anche se lo ‘sciupafemmine’ Da Ponte è vagamente anti-femminista: la considerava efficaci solo sotto le lenzuola). Regista e direttore musicale prendono alla lettera la dizione ‘dramma giocoso’, ossia i limiti dell’’opera buffa’ ed accentuano l’humour burlesco, la commedia per adulti e l’assurdità di alcune situazioni drammaturgiche.

La perdita dell’innocenza

Tuttavia, c’è un tema di fondo forte: la perdita dell’innocenza: l’amore viene cacciato dal Paradiso proprio in quanto diventa intrigo sessuale ed ai sentimenti ed ai sensi non si comanda. L’opera è ambientata in ricco ‘giardino d’inverno’ settecentesco, pieni di piante (anche palme) e fiori. Dopo le visioni cupe degli Hermann e di Guth, ‘Così’ (che inaugurò il Festival nel lontano 1922- con Richard Strauss – sul podio) torna allegro, anzi gioioso pur se nasconde un velo di melanconia che si mostra soprattutto nel finale.

Il giudizio

Bravi i cantanti tutti con il physique de rôle . Tutti anche ottimi attori . Un po’ scialba la concertazione dei Wiener Philarmoniker di Eschembach, chiamato, con poco anticipo, a sostituire Franz Welser -Möst. Ciò nonostante, grande successo per il ‘Così’ ritrovato nella sua concezione originale.

Il nuovo "Così fan tutte" di Salisburgo

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