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L’attentato terroristico di questa mattina ad Ankara ci ricorda che in Europa non possiamo permetterci di abbassare la guardia.

L’Italia è, come è noto, da tre decenni all’avanguardia nella lotta al terrorismo internazionale. Uno dei fattori che hanno prodotto i successi è la strategia adottata nei confronti delle comunità straniere insediate sul territorio nazionale. Il ruolo della diaspora e dei flussi migratori sotto il profilo della sicurezza nazionale è un tema di cui si parla pochissimo, ma che è di fondamentale importanza per il futuro dell’Italia e degli altri Stati membri dell’Unione europea.

In Italia la popolazione di cittadinanza straniera al 1°gennaio 2023 era di oltre 5 milioni. Questo dato è ben noto. Viceversa, l’intensa collaborazione ormai trentennale tra comunità straniere e forze dell’ordine è uno dei tre fattori determinanti che spiegano i grandi successi italiani nell’azione di prevenzione e contro il terrorismo internazionale. Sono stato tra i primi ad andare in missione in Albania dopo il crollo del regime nel lontano 1991 (per aprire l’ufficio dell’Ice a Tirana) e ricordo bene la vicinanza dei militari italiani della missione Pellicano alla popolazione albanese. In quegli anni un evento straordinario in Albania fu la storica visita di papa Giovanni II in Albania. Il pontefice polacco espresse un forte senso di vicinanza al popolo che usciva da più di 40 anni di dittatura comunista filocinese.

Queste iniziative di solidarietà (siano esse militari o religiose) non si dimenticano. In Kosovo la comunità cattolica si ricorda ancora la bella visita del cardinale di Firenze Silvano Piovanelli 23 anni fa. Negli anni Novanta numerose famiglie albanesi sono immigrate in Italia con le modalità più varie, ma tutti con un profondo debito di riconoscenza verso la nostra nazione. Lo stesso discorso vale per chi – negli anni Novanta e all’inizio del millennio – è arrivato dalla Bosnia, dal Kosovo, dai Balcani, dall’Afghanistan, dall’Eritrea, eccetera.

Un secondo fattore – oggettivo – che spiega il successo dell’Italia delle iniziative contro il terrorismo è l’assenza nel nostro Paese di grandi metropoli dove i contatti con le comunità straniere e la stessa la polizia di prevenzione è più difficile (si pensi a Parigi o alla stessa Bruxelles). Su questo piano resta ovviamente sempre alto il rischio di una saldatura tra mafie italiane e straniere (per esempio le triadi cinesi in alcuni porti), ma ciò riguarda soprattutto la criminalità finanziaria, la contraffazione e il riciclaggio.

Il terzo fattore – quello sempre più importante – è quello del capitale umano. Dalla seconda metà degli anni Settanta in poi si sono formati formidabili team (in parte provenienti dai corpi speciali delle forze armate) che hanno portato alla sconfitta del terrorismo interno in tutte le sue matrici.

La persona che meglio di tutti simboleggia questa fase è Alberto Dalla Chiesa, generale dei Carabinieri. Ma il merito va al personale dei Nucleo operativo centrale di sicurezza della Polizia di Stato, del Gruppo d’intervento speciale dei Carabinieri, delle unità speciali della Guardia di Finanza, per non parlare dell’impegno di magistrati e dei servizi.

L’esperienza accumulata della lotta contro il partito armato e il terrorismo nero ha favorito le attività di prevenzione e di contrasto sul territorio di fronte alle sfide del terrorismo internazionale.

Venendo agli anni più recenti grande è stato il contributo delle comunità straniere nelle indagini sui foreign fighter, la propaganda e il reclutamento dell’Isis e delle altre organizzazioni del terrorismo islamista. Rispetto a queste positive esperienze del passato oggi intravedo un rischio potenziale rischio. Gli immigrati che vivono in Italia sanno che in nessun Paese del mondo si possono accogliere tutti. Tuttavia ,quelli con cui ho parlato mi hanno trasmesso un allarme che condivido volentieri con il lettori di Formiche. Tanti fi loro hanno parenti che sono arrivati con mezzi di fortuna (gommoni compresi); alcuni di loro sono stati salvati dalle navi militari della missione europea Sophia, dalla Guardia costiera e dalle Ong. Per queste persone e per i loro parenti l’espressione “dissuadere i salvataggi in mare” suona sinistra perché conoscono bene il sottile confine tra la vita e la morte. Sanno anche che un automobilista che rallenta o ostacola un’ambulanza con le sirene spiegate compie un reato. E lo stesso vale per il bagnino che non aiuta un bagnante in difficoltà.

Per farla breve, nelle comunità straniere comincia a serpeggiare per la prima volta un disagio psicologico che potrebbe allontanarli dalle istituzioni. Sarebbe grave. Non possiamo disperdere il grande patrimonio di fiducia costruito in tre decenni dalle nostre forze dell’ordine. E non è questione di buonismo. Al di là della doverosa solidarietà umanitaria, l’Italia non può permettersi di mettere a rischio la propria sicurezza nazionale. Perdere la fiducia e la disponibilità proattiva elle comunità straniere sarebbe un danno rilevante. Non resta che sperare che la competizione elettorale tra i partiti della maggioranza non superi il livello di guardia.

L’attentato di Ankara ci ricorda che non possiamo abbassare la guardia. Il pensiero di Mayer

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