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Oggi 8 luglio, nell’edificio in stile piacentiniano dove, a Washington, ha sede il Dipartimento del Commercio, sessanta funzionari della Commissione Europea iniziano il negoziato per la Transatlantic Partnership.

UN DIFFICILE NEGOZIATO
La Commissione negozia, in base al Trattato di Roma in nome e per conto dell’intera UE in base a direttive ottenute dal competente Consiglio dei Ministri Europei. La delegazione europea è guidata dallo spagnolo Ignacio Garcia Bercero; quella americana dal Rappresentante Speciale del Presidente degli Stati Uniti per i negoziati commerciali. La trattativa non riguarda unicamente il commercio, ma anche la regolamentazione finanziaria e bancaria, gli investimenti, la proprietà intellettuale. Il programma è ambizioso: UE e USA si sono dati due anni per terminare il negoziato nella consapevolezza che il Congresso lo ratificherà solamente se Obama sarà ancora inquilino della Casa Bianca.

LA DEBOLEZZA EUROPEA
Seguo i negoziati commerciali multilaterali da quando a 24 anni, avendo pubblicato un paio di saggi in materia, venni invitato a fare parte di alcune sessioni del Kennedy Round.
Mai come in questo negoziato, la UE entra nella trattativa in posizione debole, per motivi sia formali sia sostanziali. L’Italia rischia di essere penalizzata se il Governo non farà sentire la propria voce a Bruxelles (e presso alcuni gruppi di interesse interni) e se non si raddrizzerà la rotta.
Il motivo formale è ai limiti della farsa. La posizione della Commissione Europea, vergata nel mandato (marcato SEC, ossia “Segreto”) datole dal Consiglio dei Ministri è stata pubblicata integralmente da alcuni dei principali quotidiani economici internazionali (ma non da quelli italiani). Di conseguenza, la controparte sa tutto su strategia e tattica. La posizione americana è, invece, in una lettera di due pagine dal Presidente al Congresso; entro la fine dell’anno, Capitol Hill pubblicherà la normativa (molto importanti gli articoli sulle procedure di ratifica). All’ufficio del Rappresentante Speciale del Presidente USA si sorride ma non si fa trapelare nulla su strategia e tattica negoziale.

OSTAGGIO DI BUROCRAZIA E CRISI ECONOMICA
In breve, l’Europa voleva giocare a poker a carte coperte, ma le mostra tutte, mentre l’America fa vedere a tutti ciò che vuole che tutti sappiano, ma mantiene coperte le proprie armi più importanti. Molto probabilmente occorre ripensare procedure pensate quando l’UE era a Sei e gli Ambasciatori vergavano i documenti con penne d’oca ed inchiostro di china.
L’UE è, poi, debole perché nel contesto mondiale appare come una provincia litigiosa e depressiva, mentre gli Usa hanno ripreso a galoppare: è di oggi 8 luglio la notizia che nel mese di giugno sono stati creati 195mila posti di lavoro mentre gli uffici statistici dell’amministrazione americana ne avevano previsti non più di 166mila.

L’ECCEZIONE CULTURALE
Nel mandato affidato alla Commissione Europea si chiede di insistere perché il negoziato non porti ad una liberalizzazione del mercato in materia di audiovisivi (la “eccezione culturale”) e mantenga intatta la politica agricola comune. Sono due richieste della Francia a cui si sono accodati altri Paesi (in materia di audiovisivi è stata particolarmente vocifera l’Italia). Un settore del nostro Paese beneficerebbe dall’accoglimento di una di tali richieste (l’audiovisivo) mentre otterrebbe ben poco da quelle in materia di politica agricola comune (in gran misura, i contribuenti italiani sovvenzionano produzioni di Francia ed Olanda).
Insistere sulla “eccezione culturale” porterebbe danni pesanti all’Italia in quanto gli Stati Uniti (si dice a Washington) escluderebbero dal negoziato i trasporti marittimi (colpendo direttamente la marina mercantile italiana) e i servizi finanziari (impedendo, in pratica, una regolamentazione “atlantica” di banche e finanze che, da un lato, potrebbe essere lo strumento per impedire nuovi contagi e nuove crisi e, dall’altro, faciliterebbe , indirettamente, l’unione bancaria europea).

ADDIO LIBERALIZZAZIONI?
Ove il negoziato fallisse (a ragione dell’intestardirsi sulla “eccezione culturale” o su altro), si direbbe, poi, addio a quei programmi di liberalizzazione che non si è riusciti attuare né con le “lenzuolate” bersaniane né con i “CresciItaliani” montiani.
La posta in gioco è alta. Si tornerebbe indietro di anni se si fallisse per difendere i “cinepanettoni” e le fondazioni liriche più inefficienti del mondo.

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