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Il luogo è stato reso noto, anzi notorio, dal pluripremiato film di Rolf Thiele Fraulein Rosemarie che, all’inizio degli Anni Sessanta, fu anche un grande successo commerciale: il bar del Frankfurter Hof, uno dei luoghi più raffinati (e più cari) della città in riva al Meno, anche se non necessariamente dei più discreti. Il film era basato su una vicenda di sesso, spionaggio industriale e finanza che in Germania ebbe risvolti politici analoghi al “caso Montesi” di qualche anno prima in Italia e di conseguenza mostrava anche le camere da letto del Frankfutter Hof.

Il negoziato con Weidmann

Giovedì 6 giugno avvenne tutto al bar. Dopo la riunione del Consiglio della Banca centrale europea (Bce), due o tre componenti dell’Esecutivo dell’istituto sarebbero andati a bere un drink e, lamentandosi della scarsa collegialità nell’organo di gestione della Bce, avrebbero parlato di un negoziato condotto direttamente dal Presidente, Mario Draghi, tra Jörg Rasmussen (componente dell’esarchia gestionale della Bce) e Jens Weidmann (Presidente della Bundesbank) con lo scopo di evitare che la Corte Suprema Tedesca (in riunione da domani 12 giugno su questo tema) bocci le Outright Monetary Transactions (OMTs) che Draghi considera il proprio “fiore all’occhiello”. Naturalmente, non c’erano microspie, ma giornalisti dalle orecchie lunghe avrebbero origliato; la vicenda (non il luogo) è finita sui giornali di domenica. E smentita dai portavoce della Bce.

Una trattativa poco politically correct

Non c’è modo di documentare se il racconto è vero o falso. Indubbiamente è verosimile. E’ espressione delle tensioni all’interno della Bce di cui Formiche.net ha trattato la settimana scorsa. A mio giudizio, un negoziato, tramite i due maggiori esponenti tedeschi con la Corte Suprema, sarebbe comunque auspicabile, anche se condotto in modo poco politically correct. In primo luogo, è in ballo il futuro non solo dell’unione bancaria europea ma dell’intera eurozona. In secondo, trattative del genere richiedono la massima riservatezza il cui rovescio della medaglia è la scarsa collegialità.

Il mea culpa del Fmi sulla Grecia e la risposta stizzita di Bruxelles

L’episodio non sarebbe verosimile se un paio di giorni prima non fosse entrata in crisi la Troika, o meglio la Trimurti Bce, Commissione Europea (CE), e Fondo Monetario (Fmi) che lavora all’unisono sulla crisi del debito europeo. Un rapporto Fmi ha fatto “mea culpa” sul programma di austerità imposto alla Grecia, la Ce ha risposto stizzita e la Bce non ha saputo far meglio che dire, in conferenza stampa, che il documento riguardava il passato. I problemi gestionali all’interno dell’esarchia (l’Esecutivo Bce) sono esplosi. E finiti in piazza.

A Formiche non sono mai interessate ‘le liti tra comari’. Anche se di alto rango. Occorre, però, spiegare cosa ha fatto deflagrare la Troika e le implicazioni che ciò avrà, in primo luogo per l’unione bancaria ed i suoi soci.

L’autocritica di Fmi e Banca mondiale

Il Fmi e la Banca mondiale hanno circa settanta anni di vita e una lunga tradizione di autocritiche. La Banca ha istituzionalizzato un dipartimento che riferisce direttamente al Consiglio d’Amministrazione e fa le pulci alle operazioni di tutto l’istituto; ove ciò non bastasse ha creato un panel di ispettori (provenienti da università, istituzioni finanziarie e amministrazioni pubbliche) che hanno incarichi per sei anni non rinnovabili e ricevono solo un rimborso spese per poter vigilare in piena indipendenza sulla qualità del lavoro dell’istituto. Ci sono stati “mea culpa” clamorosi: dalle analisi sulla Corea del Sud accusata negli Anni Sessanta di “essere un caso maltusiano di sottosviluppo sempre più grave” a quelli più recenti sulla crisi asiatica dove Fmi e Banca giunsero a sfidarsi a duello, e il Fmi, contrito cedette le armi. Inoltre, Fmi e Banca sono nel chilometro quadrato dove è concentrato più “sapere economico” al mondo. Oltre a loro due, il Banca interamericano per lo sviluppo, il Tesoro Usa, la Federale Reseve, la Brookings Institutions, la RAC Corporation ed Università del livello di Johns Hopkins, Georgetown e George Washington (per non citarne che alcune).

Il caso europeo

Nulla di analogo alla Bce ed alla Ce. La prima ha una dozzina d’anni e gran parte del personale ha contratti a termine; non si è mai data una struttura che svolga la funzione di “critica interna”. Ancora peggio la quasi cinquantacinquenne Ce; nei suoi corridoi si incontrano pochi “fonctionnaire” attorniati da “esperti delle amministrazioni nazionali”, “esperti consulenti”, persone pagate su questo o quel fondo oppure su questo o su quel progetto. Tutti tra il precario ed il provvisorio. Nella posizione meno buona, quindi, per fare autocritica. C’è comunque del vero nel punto sollevato dalla Ce: il suo compito è quello di evitare il contagio (di una crisi) ad altri Paesi, più che se di vedere in che misura la terapia fa bene all’ammalato.

La perdita di credibilità

La vicenda, comunque, ha fatto perdere credibilità alla Bce ed alla Ce. Ora non potranno battere i pugni sul tavolo nei confronti di Stati membri che travalicano, per breve tempo, i “parametri” del Fiscal Compact. Né potranno accusarli di essere incapaci a fare riforme. Dato che loro stessi non sembrano in grado di apprendere dai loro errori. E se lo fa il Fondo, scatenano diatribe da cortile.

In breve, l’unione monetaria non è più la stessa. E lo è ancora meno se tra due settimane viene celebrato il funerale dell’unione bancaria.

Grecia, caso Faz e l'Europa senza credibilità

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