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Per quanto temuta e aspettata, l’invasione dell’isola di Taiwan da parte della Repubblica Popolare Cinese non si è ancora realizzata. Tuttavia, Pechino continua a portare avanti contro Taipei una “guerra non combattuta”, tramite azioni più o meno cinetiche atte a influenzare la capacità informativa dell’isola bersaglio.

Nell’aprile di quest’anno due navi cinesi, un peschereccio e un cargo, hanno salpato in direzione di un tratto di mare ad est dell’arcipelago di Matsu (una delle isole che Pechino e Taipei si contendono dal 1949), calando l’ancora esattamente sopra ai cavi di comunicazione che collegavano le isole con Taiwan, causandone la rottura e interrompendo così il flusso di informazioni tra l’arcipelago e Taipei. Non è chiaro se questo gesto sia stato intenzionale o meno (il governo taiwanese si è espresso in questo senso, affermando di sospettare che il gesto fosse voluto), ma è il ventisettesimo caso simile registrato soltanto negli ultimi cinque anni.

Ma le autorità di Taipei hanno colto l’occasione, addestrando i cittadini locali su come reagire al verificarsi di simili situazioni, sviluppando soluzioni che permettano di ovviare ai problemi causati dall’interferenza cinese. “Abbiamo colto l’occasione per insegnare alle persone non solo il funzionamento delle microonde, ma anche l’importanza del backup delle comunicazioni satellitari e cose del genere; abbiamo anche visto molta società civile iniziare a imparare come impostare le comunicazioni di emergenza quando la larghezza di banda è limitata” ha affermato il ministro per gli affari digitali dell’esecutivo taiwanese Audrey Tang all’interno di un summit svoltosi questo giovedì a Washington.

Ma Pechino non minaccia Taiwan soltanto tramite strumenti fisici. Le campagne di disinformazione cinesi sono costanti e ben strutturate, e capaci di fare danni ancora maggiori rispetto a quelle ‘cinetiche’, indebolendo il tessuto sociale dell’avversario. Un report del 2019 di Recorded Future, compagnia di cybersicurezza statunitense, riporta che almeno mezzo milione di persone venga impiegato dal Dragone come manodopera nella sua ‘infowar digitale’, al fine di manipolare il dibattito social e di promuovere le ‘loro’ opinioni sia in patria che all’estero.

La risposta taiwanese a questa minaccia è stata spontanea, ed è arrivata dalla società civile. Un gruppo di volontari, noto come Cofacts, si sta impegnando in questa lotta mettendosi a disposizione come “controllori”: tramite un chatbot i cittadini taiwanesi possono inviare all’organizzazione messaggi o post sospetti, i quali saranno controllati da operatori umani e messi a confronto in un archivio dati di migliaia e migliaia di messaggi, fornendo poi all’individuo un verdetto sulla veridicità o meno di questo messaggio.

Un’iniziativa lodevole, ma il numero dei volontari è troppo basso, se paragonato alla “carne da cannone” di cui può disporre Pechino. Ma ci sono altre soluzioni, come ricorda la stessa Tang. Una di queste è l’intelligenza Artificiale generativa. Essa può agire da force multiplier, permettendo allo stesso numero di volontari di raggiungere un risultato esponenzialmente maggiore.

“Quest’anno, data l’enorme accessibilità che ha avuto l’IA generativa,  i volontari di Cofacts hanno messo a punto un modello linguistico in grado di chiarire la disinformazione… aggiungendo un contesto e cose del genere. Così non siamo più in minoranza”, ha detto. Inoltre, permette all’impresa gestita dai cittadini di rimanere tale, invece di essere gestita dal governo, il che è importante per la sua credibilità. “Non ha bisogno di hardware o risorse dedicate e può essere fatto su computer portatili. È ancora nel settore sociale, gestito da volontari, che è il posto migliore per non essere catturato da uno Stato o da un apparato capitalistico”.

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