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Le cancellerie ed i Ministeri degli Esteri dei Paesi Europei cercano, con difficoltà, di trovare una posizione chiara e comune di fronte all’evolversi della situazione in Egitto, mentre l’Unione europea si limita a posizioni di principio sui diritti umani che trovano larga eco sui media e che poco danno possono procurare.

Gli stessi organi di stampa vacillano, nelle scelte editoriali, fra l’iniziale atteggiamento positivo verso la protesta contro il precedente governo, per poi dover fare i conti con l’intervento dei militari che appare, ai più, come ideologicamente inaccettabile.

Nulla di nuovo del resto: ricordiamo bene l’esaltazione giornalistica di fronte alle cosiddette Primavere Arabe, indotta da un atteggiamento di compiacimento per tutto ciò che sovverte, un po’ culturale e molto legato all’ossessione del “bucare” l’attenzione del pubblico, televisivo o dei lettori di giornali. Quasi mai abbiamo trovato uno sforzo per capire veramente cosa stava accadendo, perché è difficile e faticoso approfondire le cause che determinano fatti ed eventi, bisogna conoscere , chiedere, approfondire i percorsi storici, religiosi. Molto più semplice puntare sull’effetto drammatico cercando di scegliere con chi stare guidati dall’istinto della notizia.

L’esempio della Libia è stato veramente sconcertante per il cinismo, la superficialità, l’impreparazione con cui abbiamo affrontato una crisi che certamente è stata indotta da fattori politici ed economici e non democratici ed etici. E di fronte alle terribili immagini dell’omicidio barbaro di Gheddafi abbiamo assistito ad un silenzio assordante e forse compiaciuto.

E l’Europa politica non si è distinta, rincorrendo i francesi in un’azione che Paolo Mieli ha definito in una trasmissione televisiva “una guerra contro l’Italia“ , non mi risulta che alcuno gli abbia chiesto cosa intendesse. Oggi L’Egitto ci ripropone la necessità di scegliere o, forse meglio, di capire prima quello che sta succedendo.

Suggerirei di leggere con attenzione alcuni articoli, non proprio di prima pagina, fra cui Anna Prouse su la Stampa del 15 Agosto, e l’intervista al prof. Youssef Ziedan di Alessandra Muglia sul Corriere del 18 Agosto, o la dichiarazione del Nobel turco Pamuk che definisce poesia gli scontri di piazza Taksim.
Oltre alla complessità della situazione vi si scorge un processo di frattura, che rischia di diventare insanabile fra la parte laica delle nazioni coinvolte e le aree più integraliste di fede mussulmana, soprattutto dove queste hanno preso il potere.

Non a caso i fenomeni più forti avvengono in quei Paesi che, come la Turchia con Ataturk o l’Egitto con Nasser, hanno conosciuto per un periodo significativo un governo laico che ha sostanzialmente cambiato quelle società. Ed oggi la borghesia che si è creata in quei periodo, e che è il perno di quell’economie non riesce ad accettare le ricadute culturali, sociali e politiche dell’integralismo islamico che, a sua volta, non possiede gli strumenti culturali atti ad un confronto democratico.

Ricordo, in un viaggio di pochi anni fa in Turchia, la cupa disperazione di una donna che rimpiangeva i tempi di Ataturk e che mi descriveva il degenerare della società civile e la sua difficoltà di essere donna indipendente nella nuova Turchia di Erdogan.

Se andiamo oggi a guardare quelle scene di odio fra egiziani ed i Fratelli Musulmani, di cui solo a poco a poco, i nostri inviati prendono coscienza, forse qualche dubbio sull’impronta democratica delle rivoluzioni arabe dovrebbe venirci.

Certamente a livello dei governi europei i dubbi e le paure sono molte. Ma non tanto per i risvolti etici e democratici quanto politici ed economici. Almeno in quelle sedi si comprende bene che ci troviamo di fronte a tensioni e scontri fra Stati, regimi, gruppi economici con interessi contrapposti nelle aree medio orientali e nordafricane, che giocano con le storiche contrapposizioni religiose, etniche, tribali. Lo ha provato sulla sua pelle l’inviata di Sky tg 24 scambiata al Cairo per una troupe di Al Jazeera, e forse si sarà chiesta i motivi di tanta aggressività, generata dalla politica del suo proprietario, l’emiro del Qatar …un segno della complessità della situazione.

Quindi le scelte, forse opportuniste, dei paesi europei di appoggiare le parti integraliste nei recenti sommovimenti, appaiono oggi potenzialmente compromesse dall’evoluzione dei fatti, con il rischio che si compromettano programmi economici, commerciali ed industriali.

Anche gli Stati Uniti, guidati da un Obama sempre più incerto nella politica estera, vivono uno stato di molto simile ed oggi devono fronteggiare una crisi siriana dove hanno perso il bandolo della matassa.

Ne consegue una situazione in cui ancora una volta emerge la difficoltà europea di una politica estera omogenea e credibile, forse impossibile se non collegata ad una politica omogenea di sviluppo economico e commerciale.

Umberto Malusà

ISC, Integrated Strategy Consulting

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