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Trasformarsi strutturalmente, mantenendo però la velocità nei processi di decision-making, la capacità di avere una visione condivisa e interforze del campo di battaglia, e la supremazia dei propri strumenti letali nel tempo e nello spazio. Questa è la sfida gargantuesca intrapresa dall’esercito americano all’interno del programma “Army 2030”, presentato ufficialmente nell’autunno del 2022.

Un processo di trasformazione necessario per lo US Army, al netto delle evoluzioni del contesto geopolitico mondiale. Nella sua versione attuale, la branca terrestre delle forze armate di Washington è stata modellata per raggiungere la massima efficienza in contesti di counter-insurgency come quello iracheno o quello afghano, tramite l’utilizzo di piccole unità capaci di operare in modo relativamente indipendente. Ma l’emergere della minaccia cinese e il ripresentarsi di quella russa hanno spinto i vertici del Pentagono ad un cambio di direzione, volto a ricalibrare le capacità dell’esercito per uno scontro convenzionale ad alta intensità tra attori statali.

Ed è proprio guardando a Pechino e Mosca che si capisce questo processo di trasformazione. Le riforme militari dell’Esercito Popolare di Liberazione sono state oggetto di notevoli attenzioni da parte degli analisti, con lo scopo di individuare punti di forza da neutralizzare e debolezze da sfruttare. Stessa cosa è successa con le forze armate russe, di cui sono state studiate a fondo anche le recenti operazioni militari, con il focus posto sull’invasione della Georgia nel 2008, sull’occupazione della Crimea nel 2014, e sul conflitto ucraino attualmente in corso: questi esempi rappresentano preziosi casi studio pregni di lezioni su come la tecnologia cambi il campo di battaglia e le sfide caratteristiche dei conflitti interstatali, lezioni che le menti di Washington devono assolutamente assorbire. A questo si aggiungono gli innumerevoli studi, esperimenti e wargames condotti dal Pentagono o da altri enti alleati.

Un esempio pratico di questa trasformazione è facilmente individuabile nell’accelerazione della produzione di loitering munitions decretata dai vertici militari statunitensi, in base alle potenzialità dimostrate da questa tipologia di arma all’interno del conflitto ucraino. Ma oltre alle loitering munitions l’accento è stato posto anche su Uncrewed Aerial System, missili ipersonici, saturazione del campo di battaglia con sensori di ogni tipo e capacità di guerra elettronica e cyber necessarie a neutralizzare i sensori stessi. E anche sull’information warfare, capace di influire in un conflitto tanto quanto le (se non di più delle) capacità cinetiche nemiche.

La nuova forma dell’Esercito “consentirà ai corpi d’armata e agli eserciti a livello di teatro di lavorare con i servizi gemelli, gli alleati e i partner per far convergere il fuoco, sfruttare gli effetti non letali e fornire supporto logistico. Le divisioni dovranno essere in grado di fornire intelligence, capacità di fuoco in profondità e logistica necessaria per garantire un corretto ed efficace svolgimento delle operazioni a livello di brigata sui futuri campi di battaglia”, come affermano James Rainey e Laura Potter nel loro commento pubblicato su War On The Rocks. Tradotto sul piano pratico, l’esercito americano abbandonerà la brigade-based structure adottata negli ultimi anni in favore di una più “convenzionale” struttura divisionale, meno smart ma più adatta al combattimento in contesti di conflitto ad alta intensità.

Questi risultati saranno però raggiunti in modo graduale, attraverso un piano prestabilito con scaglioni organizzativi e di budget a livello annuale. La ratio non è soltanto economica: in questo modo si eviterà una perdita di efficienza generale, che comporterebbe un aumento delle perdite. Come sottolineano Rainey e Potter nell’articolo a loro firma, le importanti trasformazioni tecnologico-dottrinarie già intraprese (o in via di esserlo) rimangono funzionali alla componente umana fulcro dell’esercito americano. L’addestramento e l’esperienza dei soldati statunitensi viene infatti definito come “il più grande vantaggio asimmetrico dell’Esercito americano”. Come questa centralità riuscirà a digerire il crollo nella percentuale di volontari, è un’altra questione.

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