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Pubblichiamo un articolo dello “Speciale giovani e rivoluzioni” di Affari Internazionali.

Impermeabili alla brezza della primavera araba. Così appaiono i giovani giordani che solo raramente hanno partecipato alle manifestazioni scoppiate nelle strade del paese. A guidare la stragrande maggioranza dei cori e dei cortei sono stati, infatti, gli esponenti delle forze politiche tradizionali. Dai capi tribali ai partiti, passando per gruppi di interesse, e le associazioni di categoria.

Il loro scopo è stato quello di preservare il ruolo del regime hashemita come erogatore di rendite economiche, a fronte delle riforme neoliberali compiute da re Abdullah II a partire dal 1999.
Le proposte di questi soggetti hanno inevitabilmente determinato la limitata adesione dei giovani alle proteste. Le loro priorità sono altre e vanno dalla lotta alla corruzione a quella alla disoccupazione giovanile, ormai oltre il 30%. Visto che i ragazzi al di sotto dei 29 anni rappresentano almeno il 60% della popolazione, la loro assenza si è fatta a dir poco sentire.

Deficit di rappresentanza

Un sondaggio, condotto alla fine del 2012 dal centro Al-Hayat per lo sviluppo della società civile su un campione di 1.620 cittadini al di sopra dei 18 anni, ha rivelato che solo lo 0,6% degli intervistati si impegna attivamente all’interno di partiti politici. Il 60% ha dichiarato di non ritenere i propri bisogni e le proprie aspirazioni rappresentati dai partiti politici.

I corpi intermedi tradizionali non costituiscono quindi dei soggetti rappresentativi di riferimento per i giovani giordani.

Confermando la presenza in parlamento dei soliti leader tribali e uomini di affari vicini alla monarchia hashemita, le elezioni parlamentari dello scorso gennaio non hanno certamente scalfito lo scenario presentato dal sondaggio di Al-Hayat.

A garantire questa composizione parlamentare è in primis un meccanismo elettorale che tende a favorire sia il voto di appartenenza tribale, sia la maggiore rappresentanza delle aree geografiche fedeli al regime. Il ridimensionamento del voto ideologico e la parallela tribalizzazione della politica nazionale nati all’inizio degli anni ‘90, hanno portato alla marginalizzazione dei partiti politici in quanto soggetti capaci di aggregare istanze e interessi nazionali.

Per questo motivo, durante tutto lo scorso autunno la richiesta di riformare la legge elettorale, basata sul principio una persona-un voto, anche sostenuta dai giovani, è stata al centro di un acceso dibattito politico offline e online, da cui è emerso un largo fronte favorevole al boicottaggio delle elezioni parlamentari, capitanato dai Fratelli Musulmani giordani.

Di conseguenza, l’ultimo esito elettorale ha disatteso le speranze dei giovani per la realizzazione di un programma di riforme sostanziali del paese che permettano di risolvere i gravi problemi economici e sociali del paese da parte del sistema politico tradizionale.

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Giulia Sudano è laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna. Ha lavorato come tutor del corso “Storia ed istituzioni dei paesi del Mediterraneo” presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna. Collabora attualmente con il portale Arab Media Report.

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