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Non sarà facile per Giorgia Meloni comporre una legge di bilancio coerente con le promesse sbandierate in campagna elettorale. Ma nemmeno con quelle, pur ridimensionate, annunciate in questo primo, affannato, anno di governo. I conti non tornano e la Nadef lo certifica. Cala la crescita: il Pil scende allo 0,8%, meno del tendenziale (0,9%), che del programmatico (1%), previsti in primavera nel Def. Per il 2024 il governo scommette su un Pil all’1,2%, ma la previsione era 1,4%. Un segnale preoccupante, tanto più nel turbolento scenario internazionale, a partire dalle conseguenze economiche della guerra russo ucraina, soprattutto per quei Paesi che dipendono da altri per materie prime, in particolare alimentari ed energetiche.

L’andamento del debito resta elevato (140%) e non si intravvedono significative riduzioni e, in conseguenza della esplosione dei tassi, lievitano gli interessi. Il rapporto deficit Pil, viene portato, per quest’anno, addirittura al 5,3%, un punto in più del 4,3% stimato solo pochi mesi fa. Vedremo se basterà a coprire le conseguenze della posizione di Eurostat di addebitare (non è una sorpresa!) l’intero costo del super bonus nell’anno in cui si genera e non spalmarlo per tutta la durata del bonus stesso.

Ma, quel che desta maggiore preoccupazione è il nuovo rapporto deficit Pil deciso per il 2024, che sale al 4,3%, un punto in più rispetto al previsto 3,3%. Quella che Giorgetti ha definito una manovra prudente, appare, al contrario, azzardata, in quanto, in un contesto di dichiarata difficoltà della crescita economica e della finanza pubblica, ci si predispone a peggiorare ulteriormente il deficit per recuperare margini di manovra. Senza contare che per “sforare” il deficit servirà il consenso dell’Europa e non sono certo di aiuto gli alti e bassi dei rapporti con la Francia e, tantomeno, il “fuoco amico” delle dichiarazioni di Salvini sulla Germania, o la vicenda Mes.

Sono questi atteggiamenti e numeri che non sono ben visti dai mercati: lo spread, che, fortunatamente, è ancora ben lontano dalle vette del 2011, sta crescendo. Le buone relazioni internazionali sono indispensabili. La premier si è attivata subito; ma appare evidente lo scarto tra la buona volontà e la difficoltà dei risultati. Agendo sul deficit il governo libera circa 14/15 miliardi da spendere. Ma, il solo cuneo fiscale non costa meno di 13 miliardi. E non poco costano le annunciate politiche sul lavoro, sociali e previdenziali. Per quanto si riducano le aspettative degli elettori, difficile costruire una manovra inferiore ai 20/25 miliardi. Dove trovare quelli che mancano?

La parola condoni ricorre sempre più frequentemente in queste ore. Lasciando per un momento a parte le considerazioni etiche, c’è da chiedersi se il gioco valga la candela. Esiste, cioè, una attendibile previsione di entrata sulla quale fare affidamento come copertura di spesa? Se dovessimo basarci sulla recente rottamazione l’effetto ottenuto non sembra risolutivo. Esiste, inoltre, la capacità di gestire procedure e controlli adeguati ad una operazione in grande stile?

Se dovessimo guardare a come è stata gestita la tassa sulle banche…partita come la mannaia della destra sociale sul cattivo mondo finanziario, complicando il rapporto tra l’esecutivo ed il sistema bancario, proprio mentre, sia in funzione del super bonus che del Pnrr, serve la piena collaborazione, si è ridotta, alla fine di un imbarazzante retromarcia, ad un confuso mini prelievo alla ricerca di fare un po’ di cassa.
Il quadro è indubbiamente complicato, ma si assiste ad una politica del giorno per giorno. Quella che si prospetta, dunque, sarà, al massimo una manovra modesta; esagerata rispetto alle disponibilità e inadeguata rispetto alle necessità.

Ecco cosa (non) mi convince della manovra Meloni. Scrive Baretta

Di Pier Paolo Baretta

Quella che Giorgetti ha definito una manovra prudente, appare, al contrario, azzardata, in quanto, in un contesto di dichiarata difficoltà della crescita economica e della finanza pubblica, ci si predispone a peggiorare ulteriormente il deficit per recuperare margini di manovra. Senza contare che per sforare servirà il consenso dell’Europa. L’analisi di Pier Paolo Baretta, economista ed ex sottosegretario al Mef

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