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A poco più di due mesi dall’elezione a Sommo Pontefice di Papa Francesco, è possibile tracciare il filo rosso che caratterizza il suo pensiero nelle questioni sociali, economiche e politiche? Un interessante compendio dal quale possiamo tentare di evincere una qualche risposta emerge dalla lettura del suo intervento del 25 maggio al convegno organizzato dalla «Fondazione Centesimus Annus», dedicato al tema: «Ripensare la solidarietà per l’occupazione: le sfide del ventunesimo secolo». Al di là delle puntuali questioni di merito, sulle quali ci soffermeremo in seguito, appare evidente una forte dichiarazione in ordine al metodo che intende seguire. Papa Francesco ritiene necessario un continuo «ripensamento» delle soluzioni politiche ed economiche, affinché il Magistero possa coniugarsi in modo adeguato con l’evoluzione socio-economica. In breve, ci invita a considerare il «ripensamento» come «approfondimento» e «riflessione ulteriore» per far emergere la «fecondità» più intima della «solidarietà». Venendo alle puntuali questioni di merito, si possono considerare i seguenti tre aspetti: il rapporto tra «uomo e potere», quello tra «uomo e denaro» e infine la «solidarietà» intesa come sovrana assunzione di responsabilità reciproca per i destini di ciascun prossimo.

Tutte e tre le questioni sono state affrontate dal Papa nel discorso del 25 maggio. Con particolare riferimento al primo punto, possiamo riprendere l’omelia di inizio pontificato del 19 marzo, allorquando afferma che «il vero potere è il servizio […] che ha il suo vertice luminoso sulla Croce». Il potere in quanto servizio rimanda all’idea di «azione di governo» come «amministrazione», piuttosto che come imperium. Con ciò assumendo non più la prospettiva monistica del government, ma quella poliarchica e sussidiaria della governance, la stessa che Sturzo definiva «potere e amministrazione del bene comune». Per quanto concerne il secondo punto, Papa Francesco nel discorso del 17 maggio ai nuovi ambasciatori afferma che «Il denaro deve servire, non governare» ed evidenzia che l’etica cristiana dà fastidio, perché relativizza il denaro. Il «relativismo» al quale ci rinvia Papa Francesco nega l’indifferentismo tipico del relativismo qualunquista, più volte condannato da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, in nome del quale svaniscono le differenze e tutto appare assorbito dal buio della notte nella quale le «vacche sono tutte nere». È questo il caso in cui il potere e il denaro finiscono per relativizzare la dignità dell’uomo, ponendosi come fini ultimi e per i quali sarebbe lecito sacrificare tutto e tutti. La prospettiva antropologica cristiana, al contrario, pone al centro la persona (da un punto di vista ontologico, epistemologico e morale), in quanto imago Dei e non tollera che niente e nessuno sia innalzato a fine ultimo ed assoluto.

Infine, il tema della «solidarietà». Afferma Papa Francesco: «non c’è peggiore povertà materiale, mi preme sottolinearlo, di quella che non permette di guadagnarsi il pane e che priva della dignità del lavoro». L’invito di Papa Francesco è di «ripensare la solidarietà» non come mera assistenza, ma come sovrana forma di partecipazione di tutti e di ciascuno alla promozione dei beni comuni. Beni che non si risolvono in una qualsiasi funzione di utilità/felicità collettiva, ma nell’impegno personale a perseguire la «via istituzionale della carità». Opportunamente, il Pontefice sottolinea l’importanza di restituire alla nozione di «solidarietà» la dovuta «cittadinanza sociale», assumendola non come un di più da elargire con compassionevole generosità, quanto piuttosto di interpretarla e di implementarla per via istituzionale come la cifra stessa dell’azione di governo; il cui carattere, ribadiamo, è sussidiario e poliarchico. In questi termini, la solidarietà, in quanto parte della nozione di cittadinanza, è intesa in primo luogo come diritto d’accesso ai processi di partecipazione politica, economica e culturale. Non si risolve nella gentile concessione del sovrano, nell’assistenza dovuta ai disciplinati sudditi (pray, pay, obey), ma nella rimozione degli ostacoli e nell’abbattimento delle consolidate rendite di posizione.

Essa impone il ripensamento stesso della nozione di sovranità, così come Papa Francesco ha voluto ridisegnare quella di «potere» e di «denaro», relativizzandoli, desacralizzandoli e rendendoli funzionali alla soluzione dei problemi dell’uomo. In questa prospettiva, la solidarietà diventa la prima virtù del vivere in società, in quanto attributo della sovranità, esercitata personalmente per via diretta o per mezzo delle istituzioni, in forza della proposizione che il sovrano è colui che si fa carico delle responsabilità. Una virtù che si esplica in primo luogo nella varietà delle forme che assume la società civile, libera e responsabile, argine critico nei confronti di chi abusa del potere e timone per una società più giusta.

Solidarietà, esercizio della sovranità​

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