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Quella di Luigi Spazzapan è una storia che sa parlare all’oggi. Come tutte le storie in cui la vita e l’arte si compenetrano facendosi uno. Luigi Spazzapan fu pittore. Friulano, si trasferì dal Friuli al Piemonte come tanti delle Venezie all’indomani della grande guerra, la prima. Era il 1928. La geografia, materia mai studiata abbastanza, e che va a braccetto con la storia, è fondamentale per comprendere i tratti distintivi della sensibilità dell’uomo e dell’artista.
Spazzapan aveva respirato l’aria, dell’impero, quello austroungarico. Aperto all’Europa. Questo spiega il perché delle tante difficoltà, non solo iniziali, che incontrò a Torino su cui, prima ancora di quella prodotta dallo smog, insisteva la cappa imposta da Casa Savoia.

Recentemente una personale di Luigi Spazzapan è stata ospitata nel Castello di Miradolo, vicino Pinerolo. Castello gestito dalla Fondazione Cosso di cui ha parlato Report, trasmissione di inchieste di Rai 3, che raramente racconta esempi virtuosi al punto che alla domanda al desk all’ingresso del Castello: “E’ vero che hanno parlato di voi a Report?” – la risposta è stata : “Si, si ma in positivo”. Ecco.

Scorrere con lo sguardo i tanti dipinti del pittore friulano è stato il modo, certamente il migliore, per entrare in sintonia con la sensibilità dell’artista. In questo modo, solo dopo averne accolto lo slancio poetico, scevri da qualsiasi sovrastruttura storica e di contesto, si può cercare di accoppiare il fluire della sua mano sulla tela con gli umori che lo avevano ispirato.
Di Spazzapan colpisce il tratto che è agile, ciò è evidente perché l’occhio è costretto a seguirne le linee ripercorrendo visivamente il gesto che fu dell’artista. La sua è un’ispirazione che risponde a un’urgenza che cerca subito la tela dove la materia raccolta, filtrata, metabolizzata ritorna gravida dell’estetica dell’autore.
La sensazione guardando i suoi dipinti, in particolare quelli del primo periodo, fu che della materia, che entrava in lui come fosse un succedersi di chiazze di colore, e che poi, sulla retina, a fare da filtro, colava sulla tela il precipitato, assumendo una forma unica e originale. Il risultato era un qualcosa destinato all’eterno che non aveva con l’oggetto ispiratore nessun legame se non l’artista. Non c’è realismo, non c’è naturalismo in Spazzapan.
Lo stesso vale per quei ritratti, quei dipinti che raffigurano delle figure umane. Non hanno nome e cognome i suoi ritratti, tranne qualcuno, sono figure, dove il soggetto rappresentato rivive nell’opera d’arte una seconda vita con una nuova identità. Attraverso l’artista vive una sorta di metempsicosi. Non è infrequente imbattersi in corpi di uomo madidi di colore da cui, in un groviglio di linee dal sapore futurista, lo spettatore può riconoscere la testa di qualche animale. Come ad esempio per il santone o l’eremita.

E un altro ancora che, per dire di come l’arte non conosce limiti alla modernità, ricorda un ex-noto giornalista economico dall’eclettico modo di vestire.


Luigi Spazzapan in questo ricorda il Perazzetti di “Non è una cosa seria” novella pirandelliana in cui il protagonista, il Perazzetti appunto, aveva il dono che fu anche del friulano. Perazzetti aveva una fantasia mobilissima e quanto mai capricciosa, la quale alla vista della gente, si sbizzarriva a destargli dentro, senza che egli lo volesse, le più stravaganti immagini e guizzi di comicissimi aspetti inesprimibili. In ogni uomo, il fondo dell’essere è diverso dalle fittizie interpretazioni che ciascuno se ne dà spontaneamente, o per inconscia finzione, per quel bisogno di crederci o d’esser creduti diversi da quel che siamo, o per imitazione degli altri, o per le necessità e le convenienze sociali.
Come per Grosz, attraverso la pittura, Spazzapan reagisce contro e verso il mondo di cui colora l’aspetto demoniaco.

“Le sue inimicizie sono durate tutta la vita come le sue poche amicizie”, così scriveva l’amico e critico Luigi Carluccio. Tra i suoi intimi ci fu Edoardo Persico, personaggio straordinario. Fu tra coloro che portarono l’architettura moderna a Torino. Firma del settimanale Casabella, fu anche, cosa assai curiosa, editore di uno, un unico volume: la seconda edizione de “Il Sarto Spirituale” di Prezzolini.
E poi Umberto Mastroianni che gli fu amico fino alla fine. Presenza assidua di quelle nottate in Corso Giulio Cesare a Torino in quell’appartamento laboratorio dove Spazzapan viveva e lavorava con il cuore fedelmente custodito da Ginia, compagna e musa di una vita.

Spazzapan aveva aderito al Fronte Popolare coagulo di comunisti e socialisti che nel 46 offrirono la sponda al governo costituente della DC, tanto per dire la storia. Malgrado ciò, fu proprio da sinistra che ricevette le maggiori critiche.
Non si può a questo proposito non dire del Premio Torino. Fu un evento voluto e organizzato proprio da Spazzapan e da quella cerchia di artisti e intellettuali suoi “amici”. In Via Po la Bussola, che se volete per una forma anche qui di metempsicosi, oggi è una libreria d’essay, ospitò l’esposizione dei dipinti che parteciparono alla manifestazione.
La giuria, composta da Bargis, Mastroianni, Sotsass jr., era presieduta da Spazzapan che, pertanto, partecipò con le sue opere fuori concorso. Il premio fu dato ad Armando Pizzinato di Venezia, oggi diremmo una nuova proposta, e l’indomani, tranne qualche quotidiano, i media tuonarono contro la modernità in difesa dei vecchi assi della scuola Piemontese, che aveva in Felice Casorati il loro caposcuola.

Timido e scontroso, eclettico ed euforico, carattere che fu sintesi di mille contraddizioni, Spazzapan era artista che sapeva trasmettere il suo sapere, abilità questa non comune tra gli artisti. La sua mente coglieva il grottesco delle cose, l’indole dell’uomo svelando l’animale che sta legato nell’antro recondito di ciascuno.

Luigi Spazzapan

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