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È già l’era del futuro dell’energia, o i combustibili fossili continuano a dominare la scena? Gli attori di rilievo nel settore e i dati stanno dando una varietà di risposte. Negli scorsi mesi si sono fatti sentire l’Opec+ in generale e l’Arabia Saudita in particolare, specie alla Cop28, sostenendo i meriti e l’importanza degli idrocarburi nel breve e lungo termine – anche oltre l’orizzonte 2050. Ma non sono certo gli unici a puntare sulla sicurezza energetica che garantisce il sistema energetico “classico”, tanto inquinante quanto rodato.

Pur avendo appena annunciato un taglio ai permessi per le nuove esportazioni di gas naturale (in ottica anche elettorale), l’amministrazione di Joe Biden ha rilasciato concessioni a briglia sciolta nel corso del suo mandato. Anzi, il peso specifico degli Usa – oggi il maggior produttore di petrolio al mondo – ha bilanciato i tagli Opec+ a sostegno del prezzo. Nel mentre, i Paesi si stanno dotando di nuove centrali a gas a ritmo invariato, un riflesso dell’importanza che attribuiscono al metano anche in piena transizione.

Tutto questo non vuol dire che gli sforzi di decarbonizzazione manchino di slancio. Guardando al “negativo” della fotografia globale, spiccano per la loro assenza le fiammate nei prezzi di gas e petrolio che la crisi nel Mar Rosso avrebbe dovuto generare. Mentre le major energetiche dirottano altrove i loro carichi di energia (l’Italia è stata tra i primi a soffrirne l’impatto), il prezzo del metano è sceso stabilmente sotto i 30 euro/megawattora – un decimo del picco in piena crisi energetica, ma soprattutto un livello comparabile ai prezzi pre-invasione russa dell’Ucraina.

L’aumento della resilienza (leggi: diversificazione) sul versante degli idrocarburi spiega solo parzialmente questa inusuale tranquillità. Anche e soprattutto considerando che la domanda globale di energia continuerà a crescere del 3,4% secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea). La risposta è nelle rinnovabili e nel nucleare, industrie in piena espansione e forze fondamentali dietro il processo di decarbonizzazione, come ha spiegato il direttore Fatih Birol.

“Al momento il settore energetico produce più emissioni di CO2 di qualsiasi altro settore dell’economia mondiale, quindi è incoraggiante che la rapida crescita delle fonti rinnovabili e la costante espansione dell’energia nucleare siano insieme in grado di soddisfare l’aumento complessivo della domanda globale di elettricità nei prossimi tre anni”. Questo “grazie soprattutto all’enorme slancio delle energie rinnovabili, con il solare sempre più economico in testa, e al sostegno dell’importante ritorno del nucleare, la cui produzione è destinata a raggiungere un massimo storico entro il 2025”.

Le ultime proiezioni Iea indicano che entro il 2026 circa il 50% dell’elettricità prodotta al mondo proverrà da fonti low carbon. Un aumento considerevole, ma soprattutto rapidissimo, considerando che nel 2023 quel numero si attestava sul 40%. Aiuta, e molto, il sostegno degli Stati: la maggior parte dei partecipanti alla Cop28 ha promesso di triplicare la capacità rinnovabile entro il 2030, e un gruppo più piccolo di Paesi dediti al nucleare si è impegnato a fare lo stesso con l’energia dell’atomo.

Secondo lo studio Iea le rinnovabili sono sulla buona strada per superare il carbone e generare un terzo della produzione totale di energia elettrica entro l’inizio del 2025. Anno in cui la generazione globale di energia nucleare dovrebbe raggiungere un picco senza precedenti, grazie all’aumento della produzione in Francia (che punta ad aggiungere altri reattori), alla riattivazione di diversi impianti in Giappone e all’installazione di nuove centrali in Cina e India, Paesi alle prese con un forte aumento della domanda e particolarmente ambiziosi sul versante dell’atomo, ma anche Corea del Sud e diversi Stati europei.

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