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La situazione politica italiana a poco più di un mese dalle elezioni si presenta quanto mai complessa. L’esito delle consultazioni di Pierluigi Bersani si è arenato non tanto per la ferma opposizione del M5S quanto piuttosto davanti ai limiti imposti dalla linea stessa assunta dal Segretario del Pd. Evitare in ogni modo una condivisione della maggioranza con il Pdl è diventato, di fatto, il vero nodo che continua a impedire la soluzione alla più lunga crisi della storia repubblicana ricordi.

Malgrado Dario Franceschini abbia fatto trapelare delle timide aperture, l’unico vero avvicinamento è stato con Monti e la Scelta Civica. Si tratta, a ben vedere, di un’affinità che può essere decisiva per il Quirinale, ma che non può da sé risolvere la situazione di stallo che ha portato Napolitano ad affidare il Governo in carica al presidio di una Commissione di saggi, tutto sommato, debole e poco legittimata.

Il quadro che emerge ha dei punti di chiarezza e anche dei punti di forza, nonostante tutto. E’, infatti, evidente che la linea dei grillini non cerca d’interpretare l’esigenza di stabilità che i mercati finanziari e l’enorme difficoltà dell’economia interna reclamano a gran voce. Basti pensare al grido di aiuto con cui il presidente di Confindustria aveva finito le consultazioni, dicendo che il sistema è ormai praticamente un malato terminale. La persuasione di aver ricevuto un mandato popolare contro il sistema è interpretata dal movimento grillino come paura a mescolarsi con la vecchia politica.

Da tutta quest’articolata situazione emerge però anche la forza che il Pdl e Silvio Berlusconi sembrano aver progressivamente recuperato nel corso di questi primi mesi dell’anno. Prima la strepitosa campagna elettorale, praticamente un colpo di reni eccezionale del Cavaliere. Poi, dopo l’impasse che è emersa con il voto tripartito, ecco che il centrodestra si è trovato a interpretare un ruolo di assennato senso dello Stato, senza le incoerenze del passato e senza le difficoltà degli altri protagonisti.
Aver proposto con decisione la grande coalizione, aver messo Bersani con le spalle al muro, di fronte alla scelta di blindatura a sinistra, è stata una scelta intelligente che ha portato il Pdl ad avere adesso un vantaggio evidente.

Come si sa adesso la partita è tutta concentrata sul Quirinale, anche perché nell’incertezza dei tempi e nella persuasione della brevità della legislatura appena iniziata, i sette anni che spettano al presidente della Repubblica sono quasi un’eternità. Anche in questa particolare scelta che i grandi elettori cominceranno ad affrontare a metà mese, il Pd non sembra muoversi con agilità. Certamente, alla sinistra sono sufficienti pochi voti per eleggere autonomamente il capo dello Stato, ma poi questa tentazione all’egemonia si ritorcerebbe contro, se Berlusconi e i suoi assumessero un atteggiamento di ostruzionismo radicale e assoluto.
Trovarsi davanti ad un presidente della Repubblica decisamente di parte darebbe al centrodestra non soltanto argomenti a non finire per recuperare un suo ruolo, ma sarebbe un acconto sicuro per un recupero elettorale garantito.

La soluzione, quindi, cui si dovrebbe andare è abbastanza semplice, comunque più di quanto non appaia. C’è bisogno di un Pd che scommetta non sulla conservazione della propria identità ma sulla carta più forte di cui è in possesso, vale a dire Matteo Renzi. Per giungere a un coinvolgimento diretto del Sindaco di Firenze, è fondamentale la convergenza su un presidente della Repubblica di centrodestra, accettato di buon grado dal Pd, che possa garantire l’istituzionalizzazione completa del Pdl, aprendo finalmente le porta alla leadership di Renzi, dopo un breve Governo di larghe intese.

La situazione non permette, purtroppo, ampi margini di manovra. E davanti a una forza politica come il M5S che ha un terzo dei parlamentari, e non accetta il sistema, la risoluzione deve necessariamente essere quella di una stagione di riforme condivise tra il Pd e il Pdl. Non si tratta, a ogni buon conto, di cancellare le istanze critiche, reali e positive che hanno spinto tanti elettori a optare per Beppe Grillo, ma di auspicare una capacità del sistema democratico di farne proprie le aspirazioni, portandole dentro un quadro di riforme possibili. Cominciando, appunto, da una nuova legge elettorale, da un presidente della Repubblica che unisce e dalla creazione di uno spazio al politico che maggiormente incarni il rinnovamento generazionale e le speranze del futuro.

Matteo Renzi, la carta su cui il Pd deve scommettere

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