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Nonostante le sanzioni, volte a limitare le capacità di esportazione di Mosca, il petrolio russo affluisce ancora in Europa. Lo fa transitando attraverso la Turchia. E, soprattutto, lo fa in modo perfettamente legale. A dimostrarlo è stato lo sforzo di ricerca congiunto portato avanti dal finlandese Centre for Research on Energy and Clean Air (Crea) e dal bulgaro Center for the Study of Democracy (Csd), a cui si aggiungono i reportage di Politico.

Lo schema è semplice, e si basa su un cavillo: le sanzioni imposte da Bruxelles non vietano l’ingresso nell’Ue di carburanti “miscelati”, purché essi non siano etichettati come russi. Di solito, tale etichetta viene affibbiata in base al fatto che i combustibili abbiano subito una “trasformazione sostanziale”, diventando così un prodotto completamente nuovo.

Secondo i calcoli, questa “fragilità” nel muro delle sanzioni ha Mosca di continuare a guadagnare cifre elevatissime. Nei dodici mesi successivi al divieto europeo sull’utilizzo di carburanti russi, emesso nel febbraio 2023, gli introiti per la Federazione Russa provenienti soltanto da tre porti turchi (Ceyhan, Marmara Ereğlisi, and Mersin) sarebbero ammontati a più di tre miliardi di euro.

“La Turchia è emersa come un pit stop strategico per i prodotti petroliferi russi dirottati verso l’Unione Europea, generando centinaia di milioni di entrate fiscali per le casse del Cremlino” commenta per Politico il senior energy analyst del Csd Martin Vladimirov.

La tempistica di questo fenomeno è interessante. Nonostante Ankara stia facendo degli sforzi (minimi) per allinearsi con i partner euroatlantici, in generale le relazioni tra l’Europa e la Turchia si sono deteriorate anche a causa del comportamento ambiguo di quest’ultima nei confronti della Federazione Russa. Dall’inizio della guerra, infatti, la Turchia si è posizionata come intermediaria per il transito di gas per Mosca, assorbendo al contempo grandi quantità di petrolio. Mentre l’Unione Europea riduceva gradualmente le sue importazioni di combustibile fossile russo, Ankara le accresceva, così come accresceva le sue esportazioni verso il continente europeo. Con le cifre che coincidevano in modo sospetto.

Dato che gli sforzi di Ankara per entrare a far parte del blocco europeo sono in una fase di stallo, “non sembrano esserci molte speranze che queste relazioni migliorino” ha detto Amanda Paul, analista senior e specialista della Turchia presso il think tank European Policy Centre , aggiungendo che le importazioni e le riesportazioni di petrolio russo a basso costo sono state “molto vantaggiose per la Turchia”, che sta lottando contro un’inflazione alle stelle e una moneta che sta crollando.

E adesso, mentre i Paesi europei discutono il quattordicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, anche la “questione turca” viene messa sul tavolo. “Dobbiamo stringere le maglie e trovare il modo di impedire l’elusione delle sanzioni. I Paesi terzi, specialmente i nostri alleati della Nato (il riferimento ad Ankara qui rasenta l’esplicito ndr), dovrebbero allinearsi alle nostre sanzioni il più possibile” ha commentato il ministro degli Esteri estone Margus Tsahkna.

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