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Nel chiacchiericcio del pre-Conclave, qualche porporato (rigorosamente anonimo) assicurava che l’unico in grado di cambiare le cose Oltretevere era proprio lui, il mite gesuita argentino di origini piemontesi: “Quattro anni di Bergoglio basterebbero per cambiare le cose”, era il commento di chi provava disgusto per gli scandali e il volteggiare dei corvi che nell’ultimo anno e mezzo aveva tormentato il Pontificato di Joseph Ratzinger. Ecco perché è diventato naturale pensare che con l’elezione di Francesco il Vaticano avrebbe assistito in breve a un enorme spoil-system. Rivoluzione, diceva qualcuno. Curia rivoltata come un calzino, pensionamenti eccellenti e rimescolamento delle carte. D’altronde, assicuravano monsignori che quegli antichi palazzi li frequentano da anni (se non da decenni), i 115 cardinali chiusi nella Sistina l’hanno eletto proprio per questo. Ma i giorni passavano, e il Papa non decideva nulla. Conferme per tutti “donec aliter provideatur” – che è la formula con cui il neoletto Pontefice lascia nei propri incarichi i vari capi dicastero finché non si decida altrimenti – e rari accenni al sistema di governance della Santa Sede.

Il fraintendimento sullo Ior
Quando ne ha parlato, come capitato a fine aprile riguardo la situazione e il futuro dello Ior, si è creato un piccolo caso diplomatico: il Papa aveva raccomandato ancora una volta di non vivere la chiesa come un’organizzazione burocratica o una ong, ribadendo la necessità di evitare che la burocrazia diventi un’àncora che le impedisce di vivere senza costrizioni. Dopo le polemiche e le interpretazioni di quel passaggio pronunciato nella consueta omelia a Santa Marta, il sostituto della segreteria di Stato, monsignor Angelo Becciu, fu costretto a precisare sull’Osservatore Romano: nessuna riforma imminente, Bergoglio sulla banca vaticana è stato frainteso.

Poche nomine in Curia
Di nomine curiali, Francesco ne ha fatte due: il segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica (dove ha mandato, su consiglio del cardinale brasiliano João Braz de Aviz, il francescano José Rodriguez Carballo) e la conferma del cardinale Agostino Vallini quale Vicario per la diocesi di Roma. Nonostante da mesi si moltiplichino le voci sulla sua successione, il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, è sempre al suo posto. Sembrava dovesse essere la prima pedina a saltare, considerato anche che il prossimo dicembre compirà 79 anni. Ma Bergoglio non ha fretta e aspetta. Attende che si riunisca la commissione creata per aiutarlo a studiare la riforma della costituzione apostolica Pastor Bonus che regola il funzionamento della curia romana. Vuole leggere le proposte concrete che il cardinale honduregno Maradiaga (coordinatore del gruppo) gli sottoporrà. Non c’è fretta, le priorità sono altre, sembrano indicare i primi due mesi e mezzo di Pontificato.

Il contatto con il popolo
Francesco sta riannodando i fili di un rapporto diretto con il popolo che negli ultimi anni, soprattutto per il carattere timido e riservato del predecessore, era andato un po’ smarrendosi. Così, ogni udienza generale del mercoledì si trasforma in bagno di folla in cui il Papa scherza con i gruppi di pellegrini, scende dalla jeep, scambia lo zucchetto bianco con qualche fedele. Le omelie vengono pronunciate in piedi e dall’ambone, non più seduto. Parla a braccio, fa le battute con i bambini sul derby di Coppa Italia, racconta quando la sera spesso si addormenta mentre prega.

Il Papa curato
Non è ancora la Chiesa dei grandi raduni di massa wojtyliani, quelli negli stadi con musica in inglese ad accompagnare i momenti di preghiera. I primi passi di Bergoglio vanno nella direzione di una chiesa semplice, parrocchiale, in cui il Papa più che dotto studioso è un curato che soffre per non poter confessare e visitare con costanza le parrocchie della sua diocesi.

Papa Francesco, i primi passi felpati

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