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C’è di buono che stavolta Draghi non dovrà inventarsi nulla. Gli basterà ricopiare quello che fa già la Fed: acquistare ogni mese un bel pacco di titoli che hanno come sottostante mutui immobiliari. In tal modo si fa arrivare il credito alle banche, che tali mutui hanno erogato, liberaldole persino dal rischio ad essi collegati.

In pratica una riedizione in grande stile delle mitiche cartolarizzazioni dei muti immobiliari che hanno originato il boom immobiliare dei primi anni 2000. Con il vantaggio che stavolta, il destinatario finale della cartolarizzazione non sarà un’altra banca, ma la banca centrale che, come sappiamo, non può fallire e qualche altra istituzione altrettanto infallibile.

Sono arrivato a questa conclusione seguendo il filo di un semplice ragionamento. Pochi giorni fa, in occasione del taglio del tasso di sconto, il presidente della Bce ha detto che è allo studio un’iniziativa europea, guidata proprio dalla Bce, per il rilancio delle cartolarizzazioni. Motivo: malgrado l’abbondante diluvio di liquidità, le banche non danno abbastanza credito all’economia reale. Si limitano ad alimentare i circuiti finanziari, come abbiamo già visto.

Il rilancio delle cartolarizzazioni, in teoria, potrebbe riguardare crediti concessi alle imprese, che verrebbero poi impachettati in titoli negoziabili, ossia “vendibili” ad altri soggetti.

Tecnicamente si chiamano Asset-backed securities (Abs), e chi segue le cronache della crisi li ricorderà bene, visto che furono proprio le cartolarizzazioni dei mutui subprime a scatenare il panico. E ricorderà altrettanto il modello originate-to-distribute, che fu l’uovo di colombo della grande diffusione del credito su larghissima scala del decennio trascorso grazie all’assunzione dogmatica che lo spacchettamento del rischio finisse con il rimuovere il rischio tout court.

Le banche originavano il credito (e quindi il rischio) e lo distribuivano altrove, guadagnandoci pure le commissioni.

E’ finita come è finita, ma a quanto pare il modello ha ancora estimatori, addirittura a Francoforte. Forse perché i meccanismi tradizionali per fare arrivare credito all’economia non bastano più. Puoi pure portare i tassi a zero, come negli Usa o in Giappone, ma le banche ormai si fidano solo delle banche centrali. Prima di prestare soldi vogliono garanzie. Ormai addirittura dagli stati. Perciò le cartolarizzazioni.

Se questo è il modello, il mercato ideale da cui cominciare è quello del mattone. Il settore immobiliare ha generato il caos, e quindi da lì si deve ripartire.

E non è solo una questione di tornare alle origini. Il mattone, come abbiamo visto in passato, ha lo straordinario vantaggio di mobilitare enormi risorse e relativi grandi appetiti. Senza contare il suo peso relativo sui Pil europei del settore delle costruzioni, e la relativa capacità di lobby.

Inoltre, sul rilancio del mattone per via creditizia possono convergere tutte le cancellerie europee, quella tedesca inclusa.

La Germania, lo abbiamo già visto, gode dell’invidiabile privilegio di avere un mercato immobiliare reduce da anni di deflazione, al contrario di quanto accaduto in Francia e fra i Piigs, quindi può facilmente sopportare un rialzo dei corsi immobiliari indotto dal rilancio del credito al settore, come peraltro sta già succedendo, guadagnandoci anche una crescita del Pil che compensi il calo dello esportazioni.

La Francia è alle prese con un mercato immobiliare inceppato, che ha riempito le banche francesi di debito del quale non vedono l’ora di disfarsi, e per le quali la cartolarizzazione targata Bce sarebbe una benedizione.

Quanto ai Pigs, i prezzi si sono raffreddati parecchio, ma le banche, a cominciare da quelle italiane, hanno il consueto problema di sovraesposizione sul mattone. In più soffrono di un’aggravante: l’aumento della disoccupazione, che comprime i redditi, rende sempre più difficile ai cittadini avere accesso al credito per comprare una casa. Gli stipendi sono bassi, insomma: troppo rispetto ai prezzi.

L’Italia sta proprio in questa situazione, come ormai è pacificamente accertato. E poiché non è presumibile che i redditi crescano abbastanza, nei prossimi anni, da attivare una domanda verso il mattone, l’unica soluzione è tornare a battere cassa alle banche. Pompare liquidità sul credito bancario immobiliare per rianimare il settore. Come fa la Fed da diversi mesi. L’alternativa è rinunciare una volta per tutte all’ipotesi di acquistare casa e rassegnarsi all’affitto. Sarebbe un passaggio storico per noi.

Il caso (?) vuole che la questione immobiliare sia affrontata in un riquadro sull’ultimo bollettino mensile della Bce pubblicato pochi giorni fa. Al termine di un’analisi econometrica, la Banca conclude, facendo rimpiangere messer Lapalisse, dicendo che nel periodo precedente alla crisi “l’attività di investimento per l’area euro nel suo complesso è stata superiore al livello di equilibrio”. In pratica, “l’attività di costruzione è stata eccessiva e ha indotto un eccesso di offerta di proprietà”. Ne sono conseguiti, con la crisi, il calo dei prezzi e il crollo degli investimenti del settore, “scesi su livelli persino inferiori” del pre crisi.

Questo per ricordare ai teorici delle bolle speculative il devastante potere della risacca che segue all’ondata rialzista, che ti lascia peggio di come stavi prima.

Ancora più interessanti le conclusioni: “Le condizioni di fiducia e di finanziamento saranno cruciali per le prospettive degli investimenti residenziali”. Il problema sono “la rigidità delle condizioni di offerta del credito” e “la modesta crescita del reddito disponibile” dei potenziali acquirenti.

Quindi i l’Europa sta nella condizione classica del soggetto subprime. Ossia una persona che, proprio perché ha redditi bassi, non offre sufficienti garanzie per un finanziamento, e quindi soffre rigidita creditizia.

Siamo tutti cittadini subprime.

L’alternativa, ossai un ulteriore ribasso dei prezzi immobiliari fino ad allinearsi ai redditi, porta con sé il rischio che ne risentano i conti economici delle banche, già traballanti. Figuratevi se succederà.

Il caso (?) vuole che proprio in questi giorni l’Abi e l’Ance, ossia l’associazione dei banchieri e quella dei costruttori abbiamo presentato proprio un piano comune per “rilanciare il mercato degli immobili”. La proposta prevede, fra le altre cose, la creazione di un circuito dedicato di obbligazioni bancarie, i cosiddetti covered bond, senza dimenticare “un fondo dello stato per la fasce più deboli”. Insomma, garanzie pubbliche per dare credito ai subprime italiani.

La Bce sarà di sicuro interessata a rilevare queste obbligazioni, tanto più che i covered bond li compra già da tempo.

C’è qualcosa di diabolico in questo perseverare nell’errore? No: è solo disperazione. L’intero meccanismo economico ormai è preda di un delirio terminale. La scommessa è prendere tempo. Si prova a rallentare la frana del disindebitamento promuovendo l’indebitamento. Un po’ come si fa scambiando eroina con metadone.

Ma al di là di queste considerazioni fuori tema, vale la pena ricordare quello che ha detto pochi giorni fa Jeffrey Lacker, presidente della Fed di Richmond proprio sulla strategia seguita dalla Fed sugli MBS, mortgage-backed securities, ossia l’acquisto di Abs con sottostanti muti immobiliari. “Il mercato immobiliare sembra in ripresa – ha detto alla Reuters il 3 maggio scorso – quindi dobbiamo pensare come ridurre i nostri acquisti di MBS per evitare di creare un’altra bolla. Se non lo faremo, credo ci sia il rischio di sovrastimolare questo settore e noi abbiamo visto che disastro può provocare”.

Già, l’abbiamo visto.

Poi l’abbiamo dimenticato.

La Bce farà indigestione di Mattone di carta

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