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Le aboliamo queste Regioni, fonti di sperpero del denaro pubblico, centrali del malaffare, organismi minati dalla corruzione, soggetti che minacciano l’unità nazionale ed hanno messo alle corde lo Stato unitario? Ma sì, aboliamole.

La proposta della Società Geografica Italiana

Chi non le ha mai amate, come il sottoscritto, si sente un po’ meno solo dopo aver appreso che l’autorevolissima Società Geografica Italiana ha proposto di tagliarle drasticamente insieme con le Province delle quali ne resterebbero soltanto trentasei rispetto al progetto elaborato dal governo Monti. Le Province dovrebbero essere ribattezzate “ecosistemi urbani” assumendo le funzioni di organismi politico-amministrativi come sostituti delle attuali Regioni e Province. Secondo lo schema elaborato dalla Società, i loro confini verrebbero ridisegnati in base “al potenziale urbano degli attuali capoluoghi di provincia, alla rete delle infrastrutture che le collegano e al substrato fisico del territorio”. Secondo il presidente della Società, Franco Salvatori, “la nuova mappa amministrativa dell’Italia porterebbe vantaggi a livello di riduzione dei costi delle politica e di gestione territoriale, ora troppo frantumate, nel caso delle province, e troppo squilibrata, nel vaso delle regioni”.

Ha ragioni da vendere la Società Geografica di fronte alla grave crisi economica che richiede innovazioni anche di carattere amministrativo. Le nuove Regioni, o ciò che rimarrà dalla rivisitazione di  esse unitamente  alle Province, saranno “soggetti particolarmente attrezzati, implicitamente forti, ma non così tanto da contrastare l’organizzazione centrale dello Stato, garantendo così un equilibrio di poteri”.

Nuovi scenari nella discussione sulla riforma dello Stato

Questa consapevolezza apre scenari nuovi nella discussione sulla riforma dello Stato. Ed incrocia numerose prese di posizione  sul fallimento delle regionalismo che vanno a colmare le distanze tra le prerogative dello Stato centrale e le possibili macro-regioni risultanti da accorpamenti funzionali alla gestione del territorio e ad una migliore rappresentazione della pluralità delle popolazioni in un quadro di nuova ricomposizione nazionale: l’esatto contrario degli effetti della sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione.

L’idea di Francesco Rutelli

In verità, tra le voci recenti reclamanti la revisione del sistema delle autonomie, ricordo, nel giugno dello  scorso anno, quella di Francesco Rutelli  che in un’intervista al Corriere della sera, “scandalosamente” sosteneva il ripensamento delle Regioni riguardate come oggettive fonti di sperpero,  clientelismo, corruzione, disfunzioni e conflitti tra i poteri dello Stato. Finalmente un’idea sensata, pensai, immaginando che sarebbe venuto fuori un dibattito, ma a parte la mia flebile voce e quella di qualche altro isolato, l’invito dell’ex-leader della Margherita e dell’Api rimase lettera morta.

Mi consolai considerando la denuncia di Rutelli una sorta vendetta postuma per chi aveva avversato l’istituto regionale prevedendone la rapida usura ed il dannoso disfacimento. Finalmente un po’ di giustizia per coloro che gridarono nel deserto per almeno cinque decenni.

La battaglia della Destra contro il regionalismo

Avevo diciassette anni nel 1970 quando vennero eletti i primi Consigli regionali, con relative Giunte e Presidenze. La mia Destra, quella Destra che neppure i “destristi” ricordano più, si era opposta con tutte le sue forze (esigue a dire la verità non per lo scarso vigore delle argomentazioni, ma per l’ostilità che scontava da parte di tutti i soggetti politici che si riconoscevano nell’arco costituzionale) al regionalismo forsennato che colava dalle voraci fauci della partitocrazia smaniosa di mettersi in bocca un’altra prelibatezza che il potere costituzionale aveva approntato, ma che con difficoltà il Parlamento era riuscito a cucinare.

Fu così, dopo la lunga astinenza, che presero forma le Regioni a Statuto ordinario (altro discorso vale per quelle a Statuto speciale). E l’ingordigia dei partiti sembrò placarsi. Fu un’illusione, naturalmente. Già non gli bastavano le varie autonomie locali sulle quali si erano gettati a capofitto, figurarsi le Regioni che offrivano immense possibilità di soddisfacimento politico-affaristico. Da quarantadue anni la partitocrazia divora immense risorse, senza procurare alcun beneficio ai cittadini. Ma chi ha ormai il coraggio di opporsi?

Ecco perché saluto con soddisfazione l’iniziativa della Società Geografica Italiana  che ha avuto il coraggio di infilare il coltello nella piaga e dire ciò che era proibito perfino pensare: le Regioni, molto più delle Province, sono terribilmente ingombranti. Ripensare i poteri delle Regioni e dimezzarne il numero è quanto mai urgente anche perché il Paese non regge più la doppia devoluzione: verso Bruxelles e verso venti mini-Stati.

Una semplice verità

Una verità tanto semplice, per di più dopo i disastri derivanti dalle cessioni di sovranità dello Stato verso l’Europa e verso le Regioni, non credo ammetta repliche. Esse, infatti, come osservava Rutelli, “non possono occuparsi di commercio estero, relazioni internazionali, energia e trasporti. Né avere il potere sulla sanità: 140 miliardi l’anno. E la competenza esclusiva sul turismo. I tempi sono cambiati”. Già, sono diventati terribilmente tristi. Anche per le sciagurate scelte istituzionali che sono state fatte, come il regionalismo appunto.

Le Regioni, dunque, possono essere tagliate. Il macroregionalismo di Gianfranco Miglio andava in questo senso, ma non venne compreso anche per responsabilità dello stesso indimenticabile politologo il quale, prossimo alla Lega, alzava il tiro e faceva intravvedere la secessione dietro il suo progetto. Molto più modestamente, ma fattibilmente,  oggi comprendiamo  che le regioni  potrebbero riunirsi secondo criteri tutt’altro che fantasiosi, riducendosi in un numero ragionevole e minimo di  aggregazioni con quali risparmi è facilmente immaginabile.

A coloro che hanno voglia e coraggio nel riconsiderare un “mito” istituzionale come le Regioni vorrei inviare i numerosi atti parlamentari del tempo contenenti le argomentazioni di chi fu contro le Regioni, firmati da esponenti del Movimento Sociale Italiano. L’ onestà intellettuale di ha mutato avviso nel frattempo, a fronte di una desolante realtà che ci mette di fronte a centri di potere onnivori e non di rado corrotti, glieli farà certamente apprezzare. Mentre non so perché la Destra italiana, il centrodestra berlusconiano per quasi vent’anni si sono dati come compito primario quello di correre appresso alla Lega sul terreno che era a loro meno congeniale, il regionalismo estremista appunto, declinato in federalismo. Quando si dice le contraddizioni della politica…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E se abolissimo le Regioni?

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