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Tutto si può dire, meno che Antonio Tajani, con la sua intervista alla Stampa, non sia stato tempestivo. Anzi profetico, se non esercitassimo su di noi forme di self-restraint. Ma certo la coincidenza è più che sorprendente. Il segretario azzurro aveva da poco finito di auspicare il superamento di un “vero tabù” quello dei due presidenti “della Commissione” e “del Consiglio”, ipotizzando che le due cariche potessero essere fuse in un’unica responsabilità. Ed ecco che Charles Michel, il belga presidente del consiglio europeo, annuncia le sue dimissioni anticipate dalla carica. Motivo? Candidarsi alle prossime elezioni europee al fine di “perseguire la propria carriera politica come Mep”. Semplice membro del Parlamento.

In un altro momento, una simile scelta sarebbe stata apprezzata. Rinunciare ai confort della Presidenza per buttarsi nell’arena politica, alla conquista del proprio seggio elettorale è indubbiamente un atto di coraggio. Il non volersi ritirare dalla politica attiva, ma dimostrare a sé stesso ed altri altri che si ancora qualcosa da dire. Tanto più se si considera la complessa situazione del Belgio, da sempre diviso tra i tre gruppi linguistici: francesi, valloni e fiamminghi. Michel lotterà per i colori del primo raggruppamento, alla testa della lista denominata: Movimento riformatore.

Prima di lui vi erano state altre defezioni, quasi ad indicare una certa stanchezza da parte del Gotha europeo. La scorsa estate due vicepresidenti di peso della Commissione, il socialista olandese Frans Timmermans e la liberale danese Margrethe Vestager, avevano abbandonato le loro cariche. Il primo per candidarsi alla guida del centrosinistra alle elezioni politiche anticipate nel suo Paese.

La seconda nel tentativo di conquistare la presidenza della Banca europea degli investimenti. Tra l’altro in competizione con Daniele Franco, l’ex ministro dell’economia nel governo Draghi. Una carriera prestigiosa tra Banca d’Italia e lo stesso Mef, avendo ricoperto la carica di Ragioniere generale dello Stato

Missione fallita per entrambi. Timmermans nelle elezioni del 22 novembre era stato sconfitto dall’ultra- destro Geert Wilders. In precedenza personaggio poco credibile della politica olandese. Vestager, era stata invece battuta dalla vicepremier uscente: la spagnola Nadia Calviño. E costretta a far mesto ritorno proprio nella Commissione guidata da Ursula Von Der Leyen. Precedenti che avrebbero forse dovuto far riflettere, lo stesso Michel, anche se, sulla carta, il suo compito appare meno impegnativo. Sennonché, date le incertezze che caratterizzano il quadro europeo, sarà tutto da vedere.

Comunque sia il dato è stato tratto. Ed una lunga intervista ai principali quotidiani belgi – Le Soir, La Libre e De Standaard – ne ha ormai ufficializzato le mosse. Grandi attese quindi presso la comunità belga, ma anche tante perplessità tra le stanze dei palazzi europei. Soprattutto Palazzo Europa, la sede principale del Consiglio e la sua succursale di Palazzo Justus Lipsius. Perplessità che nascono dal complesso scenario che questa decisione è destinata a produrre.

Secondo quanto detto dallo stesso protagonista il suo mandato, come presidente, terminerà il 30 novembre 2024. Sennonché in caso di elezione a eurodeputato dovrà prestare giuramento presumibilmente entro la metà di luglio. Da quel momento, pertanto, cesserà il suo incarico di presidente. Ne deriva che la scelta del sostituto dovrà avvenire qualche tempo prima: presumibilmente tra la fine di giugno e l’inizio di luglio. Proprio a ridosso del più immediato periodo elettorale, non certo il momento più propizio per procedere ad una nomina con quella caratura. Che di solito aveva richiesto tempi di maturazione più lunghi ed un complesso gioco diplomatico.

Che succederà allora? In caso di miracoli, tutto tornerà alla normalità. Ma nell’eventualità di un mancato accordo, il Regolamento del Consiglio europeo (articolo 2.4) parla chiaro: nell’ipotesi di defezione del Presidente per un qualsiasi motivo, ad assumerne le funzioni sino alla nomina del nuovo responsabile è il capo di governo del Paese che ha la presidenza semestrale del Consiglio. Che nel caso specifico spetta all’Ungheria. Ed ecco allora spuntare il nome di Viktor Orban, da molti considerato l’avatar di Vladimir Putin.

Personaggio il primo tutt’altro che pittoresco, ma furbo quanto basta, e capace di svolgere missioni per conto altrui. Si comprende, allora, il brivido che ha percorso le principali capitali europee. Che tuttavia dispongono di un antidoto, rappresentato dal volto di Mario Draghi, la cui candidatura, già avanzata da Emmanuel Macron, consentirebbe di evitare il peggio e, al tempo stesso, far fare all’Europa quel salto di qualità che è indispensabile per la difesa dell’intero Occidente.

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