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La formidabile affermazione elettorale del Movimento 5 Stelle e la condizione di stallo che si è determinata al Senato aprono uno scenario inedito e inquietante nel dibattito politico.   

In virtù dell’esito del voto, in una congiuntura tra le più fosche dagli anni del dopoguerra, contrassegnata da una disoccupazione a due cifre, una persistente recessione e un rapporto debito/Pil ai suoi massimi storici – e quindi ancora esposto alle incursioni della speculazione –  incombe sul Paese lo spettro dell’ingovernabilità.

Le disfunzioni della legge elettorale

Con il consueto senno di poi affiorano fin troppe ragioni che avrebbero dovuto mettere in guardia la classe politica da questo rischio: innanzitutto le disfunzioni di una legge elettorale che regola in modo diverso il premio di maggioranza alla Camera e al Senato in un sistema bicamerale perfetto – e per questo atipico – come il nostro che vincola l’esecutivo alla fiducia di entrambe le assemblee legislative.

L’incapacità dei partiti

I partiti hanno dimostrato nelle precedenti legislature la cronica incapacità di adottare le necessarie riforme istituzionali – oltre a quella della menzionata legge elettorale – e di affrontare con più coraggio il tema dei costi della politica. Ne è derivata una sensazione di resistenza al rinnovamento da parte di una classe dirigente ormai obsoleta (sconcertante mi apparve lo psicodramma collettivo suscitato nelle gerarchie del PD dal ciclone Renzi nell’autunno scorso, mentre avrebbe potuto costituire un argine all’ascesa di Grillo e anche un incentivo al rinnovamento degli altri partiti).

Le colpe della nomenclatura

Ben poco si è fatto dunque per evitare questo risultato di stallo che allarma l’opinione pubblica e i partners europei. La nomenclatura ha sottovalutato ancora una volta la stanchezza e la forza di reazione della società civile, restando prigioniera di vecchi schemi.  E’ stato a più riprese ricordato in questi giorni l’appello provocatorio e canzonatorio rivolto da Piero Fassino a Beppe Grillo nel 2009, quando il blogger intensificava i suoi appelli fustigatori del sistema politico e l’ex segretario DS, ora Sindaco di Torino, lo invitava a costituire un suo partito. Eccovi serviti!

Le analogie Fassino-Craxi

Si avverte una inquietante affinità con l’esortazione di Craxi ad andare al mare, ai tempi del referendum elettorale del 1991, che segnò, almeno simbolicamente, l’inizio del tracollo di una classe dirigente. Quando la politica perde la sintonia con il Paese, perde anche il senso della realtà e il tentativo di nascondere la testa sotto la sabbia accelera il declino e la delegittimazione dei gruppi dirigenti.  Ma il declino non sempre produce un ricambio immediato e stabile, bensì transizioni lente e incerte e condizioni di stallo che il Paese, soprattutto in una fase così delicata, non si può certo consentire.

Lo spettro dell’ingovernabilità

Se le forze politiche vecchie e nuove, ora presenti in Parlamento, si limitassero a prendere atto dell’ineluttabile scioglimento anticipato e in tempi brevi delle Camere, senza riuscire a varare alcuna riforma di sistema o intervento rilevante per far fronte all’emergenza economica e occupazionale, si determinerebbe probabilmente una competizione elettorale ancor più confusa e dispersiva, seguita da un nuovo e forse più grave scenario di instabilità e ingovernabilità. Si registrerebbe soltanto un incremento della sfiducia e della protesta.  Almeno un segnale di coesione, di responsabilità, di consapevolezza delle istanze diffuse questo diciassettesimo Parlamento repubblicano dovrà pure inviarlo, prima di essere archiviato e incluso tra le storie più o meno ingloriose e inconcludenti delle numerose legislature estinte anzitempo.

Il programma di una necessaria grande coalizione

Nelle condizioni in essere, solo un’ampia coalizione potrebbe realizzare le convergenze necessarie per il varo di particolari interventi urgenti sul fronte dell’economia e dell’occupazione (superamento di alcune rigidità e disfunzioni della riforma Fornero del mercato del lavoro, riscossione dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della Pubblica Amministrazione, potenziamento dei servizi di orientamento e formazione professionale, razionalizzazione e contenimento della pressione fiscale, con riferimento soprattutto al cuneo, all’Irap e a una maggiore equità nella modulazione dell’Imu sulla prima casa) e per alcune risposte all’esigenza di trasparenza e semplificazione della politica soprattutto in ordine ai suoi costi (riduzione del numero dei parlamentari, abolizione delle provincie, eliminazione di inutili orpelli connessi alle funzioni istituzionali, riforma e riduzione del finanziamento pubblico ai partiti).

Una nuova legge elettorale

E poi una legge elettorale che rivaluti la scelta dell’elettore e favorisca la governabilità. Può apparire forse utopistica, in un quadro così frammentato come quello uscito dalle elezioni di febbraio, un’azione legislativa così ampia che comporterebbe anche procedimenti di revisione costituzionale, sebbene possa ritenersi assai riduttiva, rispetto a quanto l’emergenza richiederebbe. Ma la realizzazione anche solo di una parte di questi interventi, prima di un probabile ricorso anticipato alle urne, potrebbe comunque mitigare l’esasperazione e riaccendere parzialmente la fiducia.

Chi deve collaborare per un’ampia coalizione

Occorrerebbe però la collaborazione di tutti. Delle due maggiori coalizioni (oltre, naturalmente, a quella guidata da Monti) ma anche di 5 Stelle che non è più un movimento extraparlamentare e non può più limitarsi alla protesta e ai V-day.  E’ il partito di maggioranza relativa, titolare di un diritto-dovere di partecipare al superamento di un’emergenza che solo con il concorso delle forze politiche più rilevanti si può realizzare, considerato che un vero vincitore di queste elezioni purtroppo non c’è.

Perché è indispensabile una grande coalizione. Anche con Grillo

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