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C’erano anche bandiere cinesi ieri a San Pietro per l’ultima udienza generale di Benedetto XVI prima di lasciare il ministero petrino oggi alle otto di sera.

Più o meno nelle stesse ore il quotidiano Global Times, legato al Partito comunista cinese e spesso su posizioni nazionaliste, metteva online un articolo sui cattolici cinesi stretti tra “Dio e Cesare”. Il pezzo che si chiude con un’intervista al portavoce della sala stampa vaticana, Padre Federico Lombardi, ripercorre i rapporti tra Santa Sede e Pechino partendo dalla sorpresa dei fedeli cinesi alla notizia dell’abdicazione del pontefice.

Il Global Times ricorda le divisioni per le ordinazioni episcopali autogestite da Pechino, con relativa scomunica negli ultimi anni di almeno tre vescovi nominati senza assenso papale. Così come la capacità dimostrata dai cinesi di porre sotto il proprio controllo le organizzazioni e i leader religiosi, nonostante l’ateismo ufficiale del Partito comunista.

Ricorda anche i momenti di distensione: le scuse di Giovanni Paolo II nel 2001 per gli errori commessi dalla Chiesa in Cina e con l’auspicio dell’allaccio di rapporti diplomatici; la lettera del 2007 di Benedetto XVI ai cattolici cinesi e il giorno di preghiera dedicato a loro, che padre Wang Heping, prete a Pechino, definisce “un gesto senza precedenti che mostra l’amore del pontefice per la Cina”. C’è inoltre un accenno alle violenze ai tempi della Rivoluzione Culturale che non risparmiarono le religioni bollate come superstizioni.

Sui rapporti tra Cina e Santa Sede pesa la divisione che risale agli anni Cinquanta del secolo scorso con l’espulsione del nunzio apostolico, Antonio Riberi e il riconoscimento di Taiwan. Da allora i rapporti dello Stato cinese con i fedeli sono gestiti dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi (Ccpa), cui sono affiliati circa 5 milioni di fedeli secondo i dati forniti dalla stessa organizzazione, e dalla Conferenza episcopale della Chiesa cattolica, approvate dal governo, opposte alla Chiesa clandestina che riconosce il primato di Roma.

Un vecchio, intervistato in fila per la confessione, ha spiegato al tabloid che non questa divisione non fa troppa differenza perché Dio è uno. Aggiungendo tuttavia di non ritenere necessaria un’organizzazione indipendente che si occupi della chiesa in Cina. Parole che ritornano a più riprese in alcuni cablogrammi pubblicati da WikiLeaks provenienti dai consolati di Chendu e Shanghai e dall’ambasciata degli Usa a Pechino.

Dal canto suo alla notizia della rinuncia di Benedetto XVI il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hong Lei, si è limitato a ripetere che Pechino spera in uno sviluppo positivo dei rapporti con il Vaticano a condizione che da Roma non arrivino interferenze nella politica cinese e si rompano i rapporti con Taipei.

Come scrive UncaNews, sito di riferimento dei cattolici in Asia, nonostante alcuni organi di stampa stranieri pensino il contrario, i cattolici cinesi hanno dato credito agli sforzi del papa tedesco verso la Chiesa cinese. A esempio sottolinea le ordinazioni cardinalizie del vescovo di Hong Kong, Joseph Zen -al dire il vero uno dei fautori della linea dura con Pechino- e di John Tong Hon. Altri gesti significativi sono stati la nomina dell’arcivescovo Savio Hon Tai e del Cardinale Fernando Filoni rispettivamente a segretario generale e a prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.

Quattro figure con una profonda conoscenza della Chiesa nella Repubblica popolare. Proprio Filoni, con un articolo su trimestrale Tripod, riaffermò la validità della lettera del 2007 di Benedetto XVI e la ripresa del dialogo tra Santa Sede e governo di Pechino, con la proposta dell’istituzione di una commissione bilaterale stabile di altrissimo livello. D’altronde come nota Uncanews nella diplomazia vaticana, la politica non è l’unico elemento da tenere a mente.

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