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Quando nel 1957 i sei Paesi fondatori dell’Ue si riunirono in Campidoglio – presenti, tra gli altri, Konrad Adenauer e Antonio Segni – per firmare il Trattato di Roma, uno dei primi embrioni della futura Unione europea, si stabilirono quattro libertà fondamentali: la libera circolazione delle persone, dei servizi, dei capitali e delle merci.

La mobilità infatti, sinonimo di libertà, è insita nell’evoluzione della società e ne è una componente basilare sia per lo scambio immateriale di idee, che per lo scambio, materiale, di beni. La mobilità, però, può produrre anche esternalità negative. È il caso, a oltre 60 anni dal Trattato che stabilì la libera circolazione delle merci nell’Unione Europea, dell’inquinamento dovuto al trasporto stradale.

Il trasporto merci su gomma rappresenta oggi infatti il 2% dei veicoli in circolazione nell’UE, ma è responsabile di oltre un quarto delle emissioni inquinanti dovute al trasporto stradale. Eppure l’elettrificazione, anche in questo campo, è già una reale possibilità. Per diffonderla e renderla la regola, però, ci sono ancora molti passi in avanti da fare.

A fare il punto della situazione e delineare i possibili orizzonti del settore due report di Motus-E – l’associazione per lo sviluppo della mobilità elettrica in Italia. Il primo, Roadmap per l’elettrificazione del trasporto merci su strada, realizzato insieme a Fit Consulting, società specializzata nelle analisi e nei modelli di innovazione della mobilità, fa il punto della situazione sulla transizione all’elettrico del trasporto su gomma. Il secondo, Le infrastrutture di ricarica per il trasporto merci elettrico, si concentra sulle colonnine di ricarica, conditio sine qua non della transizione.

Il passaggio del trasporto merci dai motori a combustione a quelli elettrici, dice lo studio, va promosso tramite la formazione del personale, modifiche ai modelli operativi – ad esempio prevedere dei microhub per le consegne con cargo bike in città – e, ovviamente, investimenti. Con un’adeguata politica incentivante, infatti, 2 veicoli su 3 potrebbero essere elettrici già entro il 2030, anche in considerazione del fatto che oggi l’80% di questi mezzi viaggia in media meno di 70 km al giorno.

D’altronde, se si guarda alla sola Italia, nei servizi di trasporto merci e nella logistica operano circa 85.000 imprese, che occupano 1,4 milioni di addetti e generano 90 miliardi di fatturato annuo. Nel complesso, nel nostro Paese, l’85% delle merci movimentate è trasportato su gomma. Numeri importanti, dovuti anche al fatto che oltre l’80% degli addetti alla manifattura in Italia lavora in uno stabilimento che si trova a breve distanza (meno di 20 km) da un casello autostradale, mentre più del 90% degli spostamenti di camion fanno tragitti inferiori ai 300 km. Brevi distanze, per le quali il trasporto ferroviario è difficilmente competitivo. Tutti fattori che rendono il settore a livello di sostenibilità ambientale hard to abate.

Secondo lo studio, infine, i necessari e importanti investimenti da parte delle imprese dovrebbero essere supportati, come avviene già in altri Paesi Ue, da un fondo strutturale con una programmazione pluriennale, fino al 2030. Gli incentivi economici – Motus-E propone un incentivo del 20% della differenza di costo per i veicoli elettrici leggeri (sotto le 3,5 tonnellate) e dell’80% della differenza di costo per quelli pesanti (oltre le 3,5 tonnellate) – avrebbero infatti il potere di abbattere le barriere economiche, innescare un effetto espansivo nel mercato e contribuire ad avviare una profonda ristrutturazione del settore industriale.

Tanti piccoli ma significativi passi che porterebbero a un cambiamento epocale: rendere elettrici camion, tir e furgoni. Veicoli che rappresentano più di qualunque altro mezzo, nell’immaginario collettivo e nelle evidenze pratiche, l’inquinamento stradale.

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Di Jacopo Bernardini

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