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Da un lato la querelle dei rifiuti a Roma con il rapporto dei Carabinieri del Nucleo operativo ecologico che sostanzialmente dà ragione al ministro Corrado Clini, dall’altro la commissione Ecomafie che approva la relazione finale dell’indagine parlamentare iniziata nel 2009 e che parla di una “catastrofe ambientale” per la Campania paragonabile soltanto “alla peste seicentesca”.

La spazzatura in Italia non sembra trovare la strada di una corretta gestione. Il culmine potrebbe aversi con l’immagine della capitale con i rifiuti in strada. Un’immagine che Clini spera non si verifichi mai ma che il ricorso al Tar dei sindaci della Ciociaria potrebbe riportare in campo: se il ricorso avesse successo, è il ragionamento del ministro, c’è il rischio emergenza per Roma. “E’ gravissimo aver fatto ricorso al Tar – ha osservato – bloccando il processo in corso”.

Le conclusioni del rapporto dei carabinieri del Noe mettono in risalto che tutti gli 11 impianti di Trattamento meccanico biologico (Tmb) del Lazio sembrano sottoutilizzati rispetto alla potenzialità approvata. Il totale dei rifiuti ricevuti negli impianti regionali è stato nel 2012 di 1.512.650 tonnellate, a fronte di una capacità totale autorizzata di 2.278.353 tonnellate. La differenza è di 765.602 tonnellate, cioè tanta spazzatura che si può ancora trattare (2.100 tonnellate al giorno).

Gli impianti Tmb devono rientrare entro 30 giorni, a partire da domani, negli standard di riferimento altrimenti rischiano il commissariamento. Tradotto, significa cominciare a portare “materia prima”. Sulla base della relazione dei Noe inoltre si evince che in alcuni impianti vengono prodotti più scarti che combustibile. Cosa non da poco perché questi impianti dovrebbero essere propedeutici alla “riqualificazione” ed “invece di essere funzionali al recupero e alla valorizzazione dei rifiuti, accrescono le quantità da conferire in discarica”. Significativo il commento di Clini: “In questo modo gli impianti invece di essere parte della soluzione sono parte dell’emergenza rifiuti di Roma”. La sottoutilizzazione degli impianti del Lazio riguarda sia gli impianti di produzione del Cdr (Combustibile da rifiuti) sia due dei tre termovalorizzatori. Ma nonostante l’impianto di Colfelice – in base alla relazione dei Noe – abbia una buona capacità residua, tale da poter accogliere e trattare una parte della spazzatura capitolina, i sindaci sono sul piede di guerra: la protesta, in sintesi, ha le sue ragioni nel “non voler diventare la pattumiera di Roma”. Eppure il ministro ha detto che che Colfelice è “l’impianto che funziona meglio, è utilizzato per il 48%, per cui ha una capacità residua molto elevata”. La protesta – aggiunge Clini – è ‘un paradosso’ anche perché non viene riconosciuto che ‘l’impianto funzioni bene e sia fonte di reddito’”.

Per Roma che rischia l’emergenza, la Campania sembra non riuscire a mettere un punto alle vicende del passato sui rifiuti. Ci vogliono 600 pagine per la commissione Ecomafie per riuscire a tracciare e descrivere il percorso dell’inchiesta avviata nel 2009. E le conclusioni della relazione – approvata all’unanimità – non lasciano di certo tranquilli: “Il danno ambientale che si è consumato è destinato, purtroppo, a produrre i suoi effetti in forma amplificata e progressiva nei prossimi anni con un picco che si raggiungerà, tra una cinquantina d’anni”. C’è scritto un pò di tutto nella relazione, di anni passati e recenti. Per esempio si parla di ministri senza “consapevolezza né lungimiranza nell’esame della situazione campana”, ricordando le tonnellate di rifiuti che giacevano ai bordi delle strade napoletane. Ed ancora, la commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Gaetano Pecorella nelle sue osservazioni ritiene che l’amministrazione pubblica in Campania, nel settore dei rifiuti, abbia favorito “in larga parte interessi sostanzialmente illeciti” con la conseguenza di far funzionare “una macchina capace di produrre profitti, ma destinata a non risolvere i problemi”.

I toni della commissione assumono a volte tratti drammatici, specie quando viene descritta la situazione come una “catastrofe ambientale in atto”, di “portata storica”, che “sta sconvolgendo” Napoli e gran parte della Campania, “paragonabile soltanto ai fenomeni di diffusione della peste seicentesca” dove “gli untori devono identificarsi in numerosi soggetti che hanno operato nel settore”. Le indagini hanno dimostrato che “in molti casi le società di smaltimento sono riconducibili alla criminalità organizzata che lavoravano sulla base di autocertificazion”. Nelle strutture commissariali dell’emergenza sono “stati collocati soggetti completamente incompetenti”, che “peraltro lo hanno ammesso anche durante i processi” e che hanno badato al controllo di “spazi occupazionali e decisionali per agevolare interessi privati e non quello pubblico”, ovvero la salute e la salvaguardia ambientale.

Insomma per la commissione i rifiuti in Campania hanno “inquinato non solo luoghi ma anche le persone”, e hanno “una potenza corruttiva inarrestabile” la cui gravità è tale che non si può risolvere “con il tratto di penna della legge”. Il sistema di smaltimento dei rifiuti, secondo la commissione è stato prevalentemente lo spostamento da un posto ad un altro, nascondendoli, senza traccia della tutela dell’ambiente.

Nei sopralluoghi compiuti in Campania, la Commissione ha poi potuto verificare un sistema di smaltimento “insufficiente” e di “estrema fragilità”; cosa, questa, che porta alla conclusione che “non esiste un sistema di gestione dei rifiuti reale in Campania” perché si è continuato “a tamponare le emergenze piuttosto che a gestire il ciclo dei rifiuti in modo ordinario”.

rifiuti

Diagnosi e prognosi per il dossier rifiuti

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