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Pubblichiamo un’analisi del giornalista del Foglio, Marco Valerio Lo Prete, che riprende e amplia alcuni spunti contenuti in un suo articolo uscito sul quotidiano diretto da Giuliano Ferrara.

Mario Monti non è un “peso piuma”, come si evince da un pur fugace sguardo al curriculum vitae del professore, eppure il suo ingresso in politica è stato accolto per ora dall’establishment italiano con minore entusiasmo di quanto fosse lecito attendersi.

Sull’accoglienza riservata dalla classe politica, a dire il vero, non c’era troppo da dubitare. Popolo della libertà e Partito democratico, centro-destra e centro-sinistra, avendo sostenuto per un anno con un’ampia e inedita maggioranza il governo tecnico di Monti, hanno subìto anche i contraccolpi delle misure più impopolari approvate: dalla riforma delle pensioni alla reintroduzione dell’Imu sulla casa di proprietà, e via dicendo. Ora, dopo che per mesi il premier aveva assicurato di non volersi candidare, Pdl e Pd hanno scoperto invece che dovranno subìre anche la concorrenza elettorale del professore. Così si spiegano i toni sempre più virulenti dedicati in questa fase al bocconiano. Beppe Grillo era all’opposizione prima ed è all’opposizione oggi, così come la galassia giustizialista che ruota oggi attorno al magistrato (in aspettativa) Antonio Ingroia.

Luca Cordero di Montezemolo e Andrea Riccardi hanno detto: noi non ci impegniamo in prima persona, è stato il ragionamento, ma mettiamo a disposizione le nostre forze organizzative e alcune persone a noi vicine. Così è stato, effettivamente, ma perché non schierarsi in prima fila?

Corrado Passera invece, con una recente intervista sul Corriere della Sera, ha confermato la stima in Monti ma ha fatto sapere che la sua “Agenda” non è abbastanza riformatrice e coraggiosa. Detto dall’ex ministro di Monti per lo Sviluppo economico, non suona esattamente come un endorsement.

I giornaloni spaesati

Più sorprendente ancora è l’atteggiamento della stampa della “borghesia nazionale”, a partire dai due quotidiani più letti del Paese, Corriere della Sera e Repubblica. A dicembre, mentre Monti maturava la sua scelta di proporsi alla testa di uno schieramento politico, dal quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli sono arrivati non pochi avvertimenti. Si sono schierati infatti, con la loro dose di ostentato scetticismo, tutti i principali editorialisti politici del quotidiano: Ernesto Galli della Loggia (“Un sentiero assai stretto”, 19 dicembre); Angelo Panebianco (“Le due strade di un leader”, 22 dicembre); Antonio Polito (“La solitudine dei numeri primi”, 23 dicembre) e Massimo Franco (“La chiarezza che non c’è”, 24 dicembre). Per non parlare delle stilettate sui temi economici: i due professori Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, dopo aver passato al setaccio l’Agenda Monti, hanno stabilito che il tasso di statalismo del programma montiano era eccessivo.

Improvvisamente incontentabile è diventato anche il Fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari. Quest’ultimo, un anno fa, definiva Napolitano “un genio” per aver scelto Monti come senatore a vita, e poi aggiungeva, in un’intervista a La7: “Questa nomina rompe i giochi, così Monti diventa padre della patria e non un tecnico. E’ senatore a vita e Napolitano lo nomina al posto che fu suo prima dell’elezione al Quirinale”. Da qualche settimana, invece, Scalfari prima ha messo in guardia dal rischio che Monti si mettesse alla testa di una nuova Democrazia cristiana, poi l’ha chiamato con lo stesso appellativo con cui tentava in passato di sfregiare Bettino Craxi (“Ghino di Tacco”), infine in un editoriale domenicale si è rivolto direttamente al premier con questi toni: “Anche tu, caro Mario, sei cambiato. Mi piaci molto per quello che hai fatto e che eri, mi preoccupi per quello che sei ora e riesci perfino a spaventarmi per quello che potresti fare se, non vincendo il piatto, lo vorrai comunque tutto per te”. Dietro il cambiamento d’opinione di Scalfari, secondo gli addetti ai lavori, ci sarebbe anche un certo raffreddamento dei rapporti tra Monti e Napolitano, e soprattutto l’impressione che Monti possa scippare la vittoria al Pd di Bersani e comunque essere scarsamente “eterodirigibile” dal giornale di Largo Fochetti. Non a caso Repubblica è stata la prima a lanciare un altro tipo di offensiva rispetto al premier ancora in carica: secondo il giurista ed editorialista Stefano Rodotà, nell’Agenda Monti si prospetta “un grande deserto dei diritti”.

Sindacalisti e industriali scettici

In area cattolica, per lungo tempo, si è dato per scontato anche l’appoggio a Monti della Cisl. Il segretario confederale del sindacato italiano più riformista, Raffaele Bonanni, è stato in prima fila nel movimento “Verso la Terza repubblica” che ha sponsorizzato la candidatura dell’ex tecnico. Alla fine però anche Bonanni non si è candidato, e l’ex segretario aggiunto della Cisl, Giorgio Santini, dopo qualche indecisione ha optato per un seggio in Parlamento con il Pd. La Cgil di Susanna Camusso, invece, ha quantomeno il merito di essere stata chiara sin dall’inizio: con Monti mai, senza se e senza ma, viste le politiche di eccessivo rigore fiscale e filo-liberismo che il governo tecnico avrebbe messo in campo.

Divisi, e questa forse è la sorpresa maggiore, anche gli industriali. D’altronde nell’entourage montiano non ci si stupisce dello scarso entusiasmo di Confindustria riservato alla “salita in politica” del premier tecnico. Era già tutto scritto sin dal maggio 2012, dicono, quando Mario Monti non presenziò all’assemblea generale di Confindustria che sancì il definitivo passaggio di consegne tra l’ex presidente Emma Marcegaglia e il neo presidente Giorgio Squinzi. Lo stesso Monti che invece a dicembre ha di fatto lanciato la sua candidatura politica al fianco di Sergio Marchionne, celebrando il redivivo stabilimento di Melfi, cioè un’Italia “forte di cuore” e che soprattutto dal 2011 non paga più le quote associative a Viale dell’Astronomia. In mezzo a questi due eventi, c’erano state le parole indelicate di Squinzi per la riforma più travagliata del governo Monti, quella del lavoro, definita una “boiata”, e poco altro. La scorsa settimana lo stesso Squinzi ha firmato un manifesto per “una politica industriale per un paese nuovo”. Nessun endorsement per Monti, ma molta equidistanza, al punto che in chiusura il patron di Mapei ha annunciato “un monitoraggio costante e preciso, basato sui fatti e non sullo schieramento per l’una o per l’altra parte”. Silente, perlomeno in questa fase, anche l’ex presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia.

L’imprenditrice nel settembre scorso partecipò a una convention dell’Udc di Pier Ferdinando Casini per dire all’“amico Pier” che “se voi andate avanti con questa idea io vi sosterrò, sarò con voi”. Ora che Pier è andato avanti con la Lista Monti, pare proprio che Emma non lo stia seguendo. L’unico dei “suoi” a fare il grande salto in politica, due giorni fa, è stato Giampaolo Galli, direttore generale di Confindustria anche ai tempi di Marcegaglia. Con il Pd, però.

L’eccezione Marchionne

Non è un caso che, in questa carrellata di poteri forti un po’ spaesati, spicchi il convinto sostegno dei “marchionniani” alla trasformazione politica del premier tecnico. Sergio Marchionne, fustigatore da almeno due anni dei veti imposti da sindacati e Confindustria alla contrattazione aziendale e al mercato del lavoro in generale, ha sempre speso parole di stima per l’ex commissario Ue, lodandone soprattutto la credibilità internazionale. Monti ha contraccambiato, lanciando di fatto la sua candidatura, a fine dicembre, proprio dal redivivo stabilimento Fiat di Melfi. L’ex presidente di Fiat, Paolo Fresco, negli scorsi mesi sostenitore di Marchionne e critico degli attacchi di un altro ex come Cesare Romiti verso l’attuale ad di Fiat, si è dichiarato pro-Monti in un’intervista al Foglio. E nelle liste del premier, rese note venerdì sera, si sono candidati Ernesto Auci, già direttore del Sole 24 Ore e poi manager di fiducia dell’ad del Lingotto, e Alberto Bombassei, patron di Brembo e in passato presidente di Federmeccanica, oltre che sfidante di Squinzi a inizio 2012 per la guida della Confindustria. Bombassei, intervistato sempre dal Foglio, ha confermato che “la visione di Monti sull’ad di Fiat mi ha avvicinato ancora di più al professore”, e ha criticato le “posizioni arcaiche di Fiom e Cgil”. Se quello di Monti è il “partito dei padroni”, insomma, i padroni paiono tutt’altro che uniti.

Marco Valerio Lo Prete
Twitter @marcovaleriolp

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