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Non hanno fatto in tempo ad arrivare sui giornali le informazioni del pressing statunitense sull’Iran per bloccare la vendita di droni alla Russia, che si apre un (non del tutto) nuovo capitolo. Gli ingegneri di Mosca hanno lavorato 24 ore su 24 nei mesi scorsi per riqualificare un vecchio polo industriale come centro produttivo di una versione Made in Russia dei sistemi aerei iraniani. Il team è stato segretamente incaricato; un funzionario in pensione del Servizio di sicurezza federale russo (Fsb) è stato incaricato della sicurezza del programma; i passaporti dei dipendenti — tutti altamente qualificati — sono stati sequestrati per impedire loro di lasciare il Paese; nella corrispondenza e in altri documenti, gli ingegneri usavano un linguaggio in codice: i droni venivano chiamati “barche”, i loro esplosivi erano “paraurti” e l’Iran — il Paese che forniva segretamente assistenza tecnica — era a volte “Irlanda” oppure “Bielorussia”.

L’impianto nel Tatarstan

Tutto è avvenuto a qualche centinaio di chilometri da Mosca, ad Alabuga, nella regione del Tatarstan, secondo un accordo di novembre che ha come obiettivo quello di costruire internamente seimila droni entro l’estate del 2025. I documenti trapelati del programma sono stati ottenuti dal Washington Post. Ciò che ne esce sono nuove informazioni specifiche sullo sforzo generale di due dei principali nemici degli Stati Uniti — sottoposti a sanzioni tra le più pesanti al mondo — di espandere il programma di droni del Cremlino e di lavorare contro gli interessi occidentali. Complessivamente, i documenti indicano che, nonostante i ritardi e un processo di produzione che dipende profondamente da componenti elettronici prodotti all’estero, Mosca ha fatto progressi costanti verso l’obiettivo di produrre una variante dello Shahed-136 iraniano.

Gli Shahed in Ucraina

Questo genere di drone-kamikaze viene utilizzato dalla Russia per martellare le città ucraine. In varie occasione questi modelli sono stati fotografati in ambienti urbani prima dell’impatto; sovente sono utilizzati per colpire infrastrutture civili. Sono poco sofisticati, ma piuttosto affidabili ed efficaci. I documenti mostrano che gli ingegneri della struttura russa stanno cercando di migliorare le datate tecniche di produzione iraniane, utilizzando l’esperienza industriale russa per aumentare la scala produttiva e cercando un maggiore controllo di qualità. I russi stanno anche studiando miglioramenti al drone stesso, tra cui la capacità di effettuare attacchi a sciame — quelli in cui i sistemi senza pilota diventerebbero in grado di coordinare autonomamente l’attacco su un obiettivo.

Ritardi e produzione

I ricercatori dell’Institute for Science and International Security, think tank con sede a Washington che ha esaminato i documenti su richiesta del WaPo, hanno stimato che il lavoro presso l’impianto nella zona economica speciale di Alabuga è in ritardo di almeno un mese sul programma. I russi hanno assemblato i pezzi forniti dall’Iran, ma hanno prodotto solo i corpi dei droni, probabilmente per non più di 300 unità. È improbabile che Alabuga riesca a rispettare la data prevista per i seimila droni, ma la produzione funziona e va avanti.

Gole profonde, etica e indagini

Il WaPo ha ottenuto i documenti da una persona coinvolta nel lavoro di Alabuga che però si oppone all’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin. La fonte ha deciso di rivelare i dettagli delle nella speranza che “l’attenzione internazionale possa portare a ulteriori sanzioni, potenzialmente interrompendo la produzione e ponendo fine alla guerra più rapidamente”, spiegano i giornalisti che hanno curato l’inchiesta. Nei giorni scorsi qualcosa di simile è stato reso pubblico anche dal Conflict Armament Research, un gruppo indipendente con sede in Gran Bretagna che identifica e tiene traccia delle armi e delle munizioni utilizzate nelle guerre. È il decimo resoconto pubblicato del gruppo del suo lavoro a Kyiv, dove i ricercatori hanno analizzato il materiale militare russo raccolto sul campo di battaglia dai servizi di sicurezza ucraini.

Altri dati sui droni iraniani fatti in Russia

I ricercatori si sono recati nella capitale ucraina alla fine di luglio e hanno ispezionato il relitto di due droni d’attacco che sono stati utilizzati in combattimento nel sud-est del Paese. Entrambi sembravano essere gli Shahed-136 iraniani, ma contenevano moduli elettronici che corrispondevano a componenti precedentemente recuperati dai droni di sorveglianza russi. Inoltre, i materiali utilizzati per costruire i due droni e la struttura interna delle loro fusoliere differivano notevolmente da quelli noti per essere stati fatti in Iran.

Cosa significa per le relazioni Washington- Teheran?

Queste informazioni sulla produzione russa degli Shahed arrivano mentre Washington e Tehran stanno vivendo una fase delicatissima delle (non) relazioni. All’orizzonte, in mezzo alle tensioni crescenti anche collegate ai nuovi schieramenti americani in Medio Oriente, c’è la possibilità di un mini-accordo informale. Iran e Usa dovrebbero trovare una quadra per rallentare l’arricchimento di materiale nucleare iraniano dando in cambio qualcosa alla Repubblica islamica. Gli americani hanno chiesto agli iraniani anche di interrompere la vendita di droni alla Russia. Le nuove informazioni possono complicare questo processo irano-americano, ma possono anche essere una forma di giustificativo (l’Iran potrebbe dire di non vendere più droni, anche se ormai ha trasferito know-how).

Droni iraniani fatti in Russia. Gli effetti sull’accordo Washington-Teheran

Ci sono nuove informazioni sul raggiungimento, da parte della Russia, della capacità produttiva di droni simili a quelli iraniani. Tutto mentre Teheran e Washington cercano la via per un nuovo (mini) accordo informale

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