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Il dibattito sul digitale e sull’intelligenza artificiale sta lentamente coinvolgendo anche il nostro Paese, specialmente da quando ChatGpt, nel 2022, è stata resa accessibile al pubblico. In realtà la digitalizzazione e l’uso dell’intelligenza artificiale non sono certo una novità degli ultimi anni, tuttavia una buona parte dell’opinione pubblica ha cominciato solo da poco a rendersi conto che si tratta di tecnologie che cambieranno profondamente il nostro modo di vivere, lavorare e pensare e non di giochetti destinati a smanettoni iperspecialisti.

Il recente libro del costituzionalista Mauro Barberis, intitolato Separazione dei poteri e giustizia digitale, uscito per i tipi di Mimesis quest’anno, permette al lettore di accostarsi contemporaneamente a due temi scottanti.

Da un lato la centralità della separazione dei poteri e la necessità di salvaguardare i meccanismi democratici in un momento in cui questi si trovano sotto l’attacco propagandistico a tenaglia di populismi e dispotismi di varia natura. Dall’altro lato l’influenza che può avere sull’architettura costituzionale, statale, amministrativa l’introduzione di nuove tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale.

Barberis illustra in modo brillante l’origine della vecchia separazione dei poteri, quella basata sul primato del legislativo e come questa sia rapidamente mutata vedendo di volta in volta un rafforzamento dell’esecutivo e infine quello del potere giudiziario e delle autorità indipendenti. Si tratta di tendenze visibili un po’ ovunque nel mondo. Pensiamo agli Usa dove il ruolo della Corte suprema e della magistratura diventa sempre più preminente nel dirimere i contrasti di una classe dirigente ormai eccessivamente conflittuale.

Il digitale introduce l’idea di un potere impersonale, pervasivo e potenzialmente autoritario che finisce per costituire una minaccia al funzionamento democratico. Da una parte le grandi piattaforme informative e commerciali ormai rappresentano dei veri e propri poteri globali, che agiscono in modo opaco e sono poco controllabili dagli Stati. Facebook o X possono in qualunque momento chiudere l’account di un presidente degli Stati Uniti, come hanno fatto nel 2021 e le conseguenze di questa decisione sono praticamente inappellabili a un qualunque giudizio esterno. Allo stesso modo motori di ricerca e social media possono censurare, manipolare e usare enormi quantità di dati sfuggendo a ogni check and balance di tipo democratico.

Sul fronte “interno”, il potere giudiziario potrebbe essere tentato di affidarsi in misura notevole all’uso di una giustizia digitale, supportata dall’IA, che da strumento ausiliario potrebbe addirittura diventare dominante nel decidere le sentenze o emettere giudizi di legittimità.

I capitoli che riguardano l’uso dell’intelligenza artificiale nell’ambito giudiziario sono i più interessanti e potrebbero suonare fantascientifici se non fosse che sperimentazioni sono già in corso in diversi Paesi. Sarà dunque necessario far prevalere un “principio di umanità” evitando l’uso di IA nel caso siano in gioco diritti umani. In altri settori come il diritto privato o amministrativo, l’uso ausiliare di intelligenze artificiali andrà regolato ma sarà probabilmente inevitabile.

* Internet sta uccidendo la democrazia? Una riflessione dell’autore del libro

* Una relazione di Barberis sulla separazione dei poteri

Perché la democrazia passa anche per l'AI. Barberis e la giustizia digitale

Il digitale introduce l’idea di un potere impersonale, pervasivo e potenzialmente autoritario che finisce per costituire una minaccia al funzionamento democratico. Fabio Benincasa, professore alla Duquesne University, legge per Formiche.net il volume di Mauro Barberis “Separazione dei poteri e giustizia digitale”, edito da Mimesis

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