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Si sente molto parlare di Big Data, la mole eterogenea di dati digitali che sempre più aziende conservano, gestiscono e analizzano. Una sfida che nasce dalla diffusione di Internet, che rapidamente moltiplica le informazioni create in formato elettronico. Nei Big Data si trovano molti nostri dati personali, raccolti per esempio dalla navigazione web o frequentazione dei social network; hanno un valore enorme per le aziende perché permettono di conoscere  e profilare l’utente, mandargli pubblicità mirate e offrirgli prodotti e servizi in linea con i suoi gusti. Il Financial Times ha riportato uno studio del Boston Consulting Group secondo cui il valore estratto dai dati personali dei soli consumatori europei ammontava a 315 miliardi di euro nel 2011, ma potrebbe toccare quasi i 1.000 miliardi nel 2020.

Secondo la società di ricerche Gartner, entro il 2016 il 30% delle aziende mondiali cercherà di monetizzare i propri Big Data, mettendo a frutto il loro “enorme valore di mercato”. Grandi magazzini in diverse parti del mondo già mettono online le informazioni sui consumatori e i loro acquisti e le rivendono ai loro partner incrementando le entrate di milioni di dollari. Gartner prevede l’ascesa di prodotti “information-based” per vendere i quali nasceranno degli “information resellers”; all’interno delle aziende spunteranno gli “information product managers”.

Con tutti i rischi del caso. In parte è vero, come ha detto Mark Zuckerberg, che nell’era dei social network la privacy sta morendo, ma le authority sono ben intenzionate a tenerla in vita: la Federal Trade Commission americana ha di recente spedito una serie di ingiunzioni a grossi broker di informazioni per sapere come raccolgono, usano e proteggono i dati personali, mentre i regolatori europei tengono costantemente d’occhio Facebook e Google.

Per le stesse aziende il business delle informazioni può rivelarsi un’arma a doppio taglio, perché il consumatore è sempre più attento e se si stanca del grande occhio che lo segue ovunque, e lo dice su Internet, il danno alla reputazione dei brand può anche essere ingente.

Big Data, dati personali tra marketing e privacy

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