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Le grandi e sconfinate province cinesi sono ormai da mesi in piena emergenza debito. I soldi prestati dalle banche alle amministrazioni locali non sono mai tornati indietro, mentre la crisi immobiliare su cui poggia un terzo della ricchezza cinese ha devastato le finanze dei governi periferici. Tutto questo nell’assordante silenzio del governo centrale, che almeno per il momento si è guardato bene dall’intervenire per salvare il salvabile.

Forse anche per questo alcune province hanno lanciato il sasso nello stagno, sotto forma di proposta a Pechino. Scambiare il proprio debito con titoli di Stato, che poi sempre debito è. Sì perché per tentare di gettare un po’ di zavorra in mare, sempre più governi locali cinesi stanno facendo domanda per scambiare il loro debito con titoli di Stato. Il meccanismo è il seguente: il governo si accolla parte del debito locale, in cambio le amministrazioni comprano le obbligazioni sovrane sostenendo le finanze statali e facendo rimanere lo stock di debito sotto forma di titoli con il baricentro ben saldo in Cina, senza fughe all’estero. Una mossa disperata, ma pur sempre necessaria.

Più nel dettaglio, ad essersi mossi sono stati fino ad oggi i governi provinciali di Fujian, Guizhou, Yunnan, Jiangxi e Guangzhou, richiedendo espressamente l’inclusione in un programma pilota nazionale per disinnescare i rischi del debito accumulato dalle stesse amministrazioni. Resta da capire che cosa faranno gli enti locali con i titoli accumulati. Incasseranno le cedole, dovendone però aspettare le scadenze? Oppure li rivenderanno al mercato a loro volta?

Di sicuro, allargando un po’ lo spettro, il Dragone sta vendendo grossi stock di debito in questi mesi. Ma non suo, bensì americano. La Cina sta infatti continuando a ridurre le proprie disponibilità di titoli del Tesoro statunitensi a causa dell’aumento dei tassi d’interesse a lungo termine, che ha ridotto i rendimenti dei suoi investimenti all’estero dopo che la Federal Reserve statunitense ha accelerato l’aumento dei costi di prestito lo scorso anno.

Il calo di gennaio, per esempio, è stato più che doppio rispetto ai 3,1 miliardi di dollari tagliati a dicembre, anche se leggermente inferiore al calo di 7,8 miliardi di dollari di novembre. Mentre le disponibilità estere sono aumentate per il terzo mese consecutivo a gennaio, quelle della Cina sono scese a 859,4 miliardi di dollari a gennaio da 867,1 miliardi di dollari a dicembre, registrando il sesto calo consecutivo e segnando il punto più basso sin dal maggio del 2009.

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​Tra bilanci in rosso e un mercato del mattone che non riparte, per i governi locali non resta che gettare un po’ di zavorra in mare. Provando a comprare titoli di Stato a patto che Pechino si accolli parte dei passivi. Mentre il Dragone continua a liberarsi di bond Usa

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