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Nel fine settimana appena trascorso si è tenuto in Valle d’Aosta il tradizionale convegno Saint-Vincent, ultima delle storiche kermesse della Democrazia Cristiana.

Qui in passato si ritrovava la sinistra forzanovista di Carlo Donat-Cattin. Una tradizione che Gianfranco Rotondi, rilanciò insieme a Silvio Berlusconi durante la Seconda Repubblica.

Possiamo dire che lei è l’anello di congiunzione tra due – se non addirittura tre – epoche?

È l’eternità democristiana, ci siamo e ci saremo perché rappresentiamo la parte giusta della storia del Novecento. Con una particolarità: abbiamo talmente vinto sulle nostre ragioni, che esse appartengono ormai a tutti i partiti, e dunque non sono più un fattore di consenso per un partito chiamato Dc. Dobbiamo darci missioni nuove e originali.

Chiusa la parentesi del “bipolarismo imperfetto” (per parafrasare Giorgio Galli), da anni ormai l’idea di un nuovo Centro è diventata chiodo fisso di molti, da Mastella a Cesa, da Cuffaro a Cateno De Luca passando – ovviamente – per Renzi e Calenda. Ognuno declina questa idea a modo proprio ma nessuno riesce a realizzarla. Perché? È solo una questione di numeri mancanti e dissapori personali, o c’è qualcosa di più strutturale?

La risposta viene dal bellissimo messaggio inviato da Giorgia Meloni al nostro convegno di Saint-Vincent: lei dice che “è riduttivo definire la Dc il Centro, essa era il blocco che si opponeva alla sinistra”. Ecco, è questo il punto: la Dc non è mai stata il Centro, inteso come terzo polo. È stata il primo polo, anzi il primo partito per decenni. Chiunque cerchi numeri marginali è fuori dalla eredità democristiana che esige numeri importanti.

Lei sostiene che il vero Centro sia oggi rappresentato da Fratelli d’Italia, così come negli anni passati la casa dei moderati è stata Forza Italia. A cosa serve allora rifondare il Centro?

Non lo dico io, lo dicono i numeri: la destra italiana nella Prima Repubblica aveva circa il cinque per cento, nella Seconda superava di poco il dieci. Una lista che sfiora e oggi supera il trenta per cento cosa è se non “il partito italiano”, come Giovagnoli chiama la Dc? Non a caso io non voglio fondare il Centro, ma una nuova casa della cultura prima che della militanza democristiana. Questo partito sarà un interlocutore e un aiuto, speriamo, anche per il lungo cammino di Giorgia Meloni.

Giorgio Merlo ha scritto su Formiche.net che “si intravede all’orizzonte” un nuovo progetto politico di centro. Un progetto – fondato sul ritorno della politica e non più sul “populista di turno” – destinato a coinvolgere i riformisti e democratici sparsi per l’arco costituzionale. Cosa ne pensa?

Un maestro mio e di Giorgio Merlo, il compianto Adolfo Sarti, diceva che “per un democristiano non c’è gusto a far politica in una forza che abbia meno del quaranta per cento dei voti”. Questo è il cammino, e bisogna aiutare Giorgia Meloni a intraprenderlo con determinazione. In questa area ci sarà destra, centro, democristiani e non, ma vorrei ricordare che nei due partiti americani sono allocati una ottantina di partiti cadauno.

Il connubio Scudo crociato-Fiamma tricolore – rapporto tutt’altro che lineare nel corso della Prima Repubblica – riporta alla memoria il governo Tambroni e la comune battaglia referendaria in favore dell’abrogazione del divorzio. Oggi i tempi sono cambiati e gli equilibri politici si sono invertiti: quale contributo può dare la Dc al governo a trazione Fratelli d’Italia?

Il governo Tambroni risale a un tempo in cui ancora non ero nato io, figuriamoci Giorgia che ha diciassette anni meno di me. E comunque io sono allievo del ministro Sullo, che dal governo Tambroni si dimise in dissenso dall’apertura al Msi.. Direi che la mia presenza nel gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia dice tutto sul fatto che Giorgia Meloni racconta e rappresenta una storia del tutto nuova.

Durante la Prima Repubblica la Balena Bianca era il perno della vita politica italiana. Nella Seconda venne lo scisma Ppi-Ccd e la diaspora. Ora che Meloni promette di inaugurare la Terza Repubblica con il premierato, quale ruolo vede per la Democrazia Cristiana? E come valuta la proposta di riforma istituzionale della premier?

Paradossalmente Meloni adotta la proposta istituzionale dell’ultima Democrazia Cristiana già Partito Popolare: il premierato in luogo del presidenzialismo. Tutto torna.

Ancora pochi giorni fa lei ribadiva: “Non pretendiamo di essere i soli democristiani”. Chi sono oggi i democristiani, al netto della annosa disputa sulla titolarità del simbolo dello Scudo Crociato?

Noi vogliamo essere i nuovi democristiani, una storia originale, nuova, possibilmente affidata a una generazione successiva alla mia e anche a quella di Giorgia Meloni. Torno in campo e metto faccia e nome sul simbolo perché il tempo passa e una grande idea della storia non può finire con le cronache delle nostre divisioni. Servono facce nuove che nemmeno conoscano queste vicende, ma crescano nei valori del popolarismo e della dottrina sociale della Chiesa, che è ancora un giacimento prezioso anche per i non credenti.

Manovra, Mes, guerra a Gaza, Patto di Stabilità: per il governo si prospetta un fine anno al cardiopalma. Riuscirà a sopravvivere? Condivide la prospettiva di legislatura tracciata dalla premier o vede pericoli per la tenuta della maggioranza?

La prospettiva di legislatura è nelle cose. Il dubbio è sulla seconda legislatura del governo Meloni: oggi è una previsione ragionevole, ma in mezzo ci sono quattro anni impegnativi e imprevedibili.

Porto la nuova Dc nel governo. Meloni? Durerà altri 4 anni. Parla Rotondi

“Una lista di destra che sfiora e oggi supera il trenta per cento cosa è se non ‘il partito italiano’, come Giovagnoli chiama la Dc? Non a caso io non voglio fondare il Centro, ma una nuova casa della cultura prima che della militanza democristiana. Questo partito sarà un interlocutore e un aiuto, speriamo, anche per il lungo cammino di Giorgia Meloni”. Intervista a Gianfranco Rotondi che ha presentato a Saint Vincent il nuovo logo del partito che rilancia la Democrazia Cristiana

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