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Non entro nella questione politica, che non mi vede coinvolto nemmeno come cittadino (non voterò, infatti, alle primarie organizzate dal PD). Dal punto di vista squisitamente tecnico-giuridico, invece, le mie idee sono chiare: a mio avviso (ma ovviamente la parola ufficiale nel merito spetta all´Autorità), Matteo Renzi ha avuto ottime ragioni per ricorrere contro la regola della pubblicità dei nomi dei votanti alle primarie per la premiership.
Stiamo parlando di una regola di base, quasi un “abc” del diritto della protezione dei dati personali in Italia (diritto che deriviamo dall´Unione Europea). Secondo l’articolo 26 del nostro Codice Privacy, i dati sensibili – tra i quali rientrano quelli relativi all’adesione a partiti o anche solo le convinzioni politiche di una persona – possono essere oggetto di trattamento anche senza consenso, previa autorizzazione del Garante, quando il trattamento sia effettuato da associazioni, enti od organismi senza scopo di lucro, anche non riconosciuti, a carattere politico, filosofico, religioso o sindacale, ivi compresi partiti e movimenti politici, per il perseguimento di scopi determinati e legittimi individuati dall´atto costitutivo, dallo statuto o dal contratto collettivo.
Questo trattamento deve però riguardare solo i dati personali degli aderenti o dei soggetti che in relazione a tali finalità hanno contatti regolari con l´associazione, ente od organismo, e l´ente, associazione od organismo deve determinare idonee garanzie relativamente ai trattamenti effettuati, prevedendo espressamente le modalità di utilizzo dei dati e informando compiutamente gli interessati. L´autorizzazione rilevante in questo caso esiste, è quella generale del Garante per la protezione dei dati personali n.3 del 24 giugno 2011. Attenzione al dettaglio, tuttavia: il consenso dell’interessato può mancare sempre che i dati non siano comunicati all´esterno o diffusi. L’albo, invece, comporterebbe pubblicazione e, dunque, diffusione dei dati. Serve quindi, senza dubbio, il consenso scritto, specifico, libero e informato di ciascun interessato.
Quel “libero” riferito al consenso significa che non si dovrebbe pubblicare il nome di chi vota alle primarie PD senza il consenso dell´interessato, ma non si dovrebbe nemmeno impedire di votare se l´interessato non ha dato il consenso alla diffusione dei suoi dati sensibili (infatti, la diffusione dei dati personali, in questo caso, non parrebbe condizione oggettivamente e strettamente necessaria per eseguire il voto). Insomma, a parere di chi scrive Renzi ha ragione, dovrebbe poter votare anche chi non accetta di vedere il proprio nome pubblicato nell´albo. Si può considerare questa regola sbagliata o inopportuna o da cambiare, ma facciamo attenzione a “rottamare” norme, come l´obbligo del consenso per la pubblicazione di dati sulle convinzioni politiche, che trovano il loro fondamento e la loro ragione nella difesa della libertà degli individui.

Perché Renzi ha ragione sulla privacy nelle primarie

Non entro nella questione politica, che non mi vede coinvolto nemmeno come cittadino (non voterò, infatti, alle primarie organizzate dal PD). Dal punto di vista squisitamente tecnico-giuridico, invece, le mie idee sono chiare: a mio avviso (ma ovviamente la parola ufficiale nel merito spetta all´Autorità), Matteo Renzi ha avuto ottime ragioni per ricorrere contro la regola della pubblicità dei nomi…

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