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Ad ogni venticello sui mercati americani, l’Europa trema come una foglia autunnale sull’albero. Naturale conseguenza di una grande economia che nelle sue componenti più deboli e febbricitanti, quelle del Sud, ha rinunciato a trovare soluzioni per generare crescita e che dunque è nelle mani del ciclo americano e cinese per sperare di vedere arrestarsi l’emorragia delle proprie imprese tramite la ripresa dell’export.
 
Una logica simile si applica al nostro settore pubblico, che ha rinunciato da tempo a contribuire alla ripresa dell’economia e con essa alla messa in sicurezza dei nostri conti pubblici.
 
Leggendo il catastrofico DEF, Documento di Economia e Finanza (o perlomeno la bozza che ho trovato) si nota subito che al mondo delle imprese il messaggio inviato dal Governo è chiarissimo: “la spesa pubblica nelle sue componenti che sono nelle nostre mani, dice il Governo, scenderà del 5% in termini reali in questi 4 anni dal 2011 al 2014. Se non ci riusciremo, sappiate che saremo costretti dall’Europa a farlo via aumento delle tasse”.
 
Oh, tra parentesi, il taglio della spesa sarà superiore a quello che l’Europa ci chiede di fare come minimo entro il 2014, che è del meno 2,1% e non del meno 5% [il tutto comunque tramite un convoluto meccanismo che nessun altro paese al mondo era riuscito finora ad inventarsi, chiamato pomposamente la “regola della spesa”, a pagina 26 del documento linkato sopra]. Insomma, non ci neghiamo mai un bel po’ di sana austerità, tanto per far vedere che a masochismo non siamo secondi a nessuno.
 
Mettetevi ora nei panni di un’impresa o di una famiglia che legga questo documento: con questa bella promessa di austerità ridurranno ulteriormente la loro voglia di scommettere sul futuro di una economia che non sarà sostenuta dall’unico attore che può farlo in questo momento. Quindi scordatevi investimenti, consumi e crescita.
 
A meno che ….
 
A meno che nuovamente non ci salvi il resto del mondo, trainando il nostro export
e dunque ridando ottimismo anche a imprese e famiglie.
 
In effetti uno si potrebbe chiedere – in uno scenario così cupo di spesa pubblica ed austerità – come fanno gli estensori del DEF ad ottenere, nel lontano 2014, un ritorno alla crescita del PIL con l’incredibile (sto scherzando) ritmo del +1%.
 
Semplice: con delle ottimistiche visioni sulla crescita non italiana. Per esempio, scommettendo su di una Unione Europea che nel 2014 tornerà a crescere a ritmi dello 1,9% rispetto allo 0% del 2012 (assunzione a pagina 14 del DEF). Scordandosi che l’Unione europea nel 2012 cresce allo 0% (contro l’1,8% degli Stati Uniti) proprio perché si ostina a non fare quelle politiche che fanno gli Usa, fatte di supporto all’economia con deficit e maggiore spesa pubblica.
 
DEF, quando lo dite a un investitore che parla inglese, capirebbe DEAF, sordo. Ecco, l’Italia, come l’Europa, è sorda, incapace di sentire nulla di quello che proviene dal territorio e dalla cittadinanza in difficoltà.
 
Ironia della sorte, il quarto movimento della nona di Beethoven (l’ode alla gioia) è l’inno ufficiale dell’Unione europea, composto dal grande compositore tedesco quando ormai completamente sordo. Ma l’Europa di cui vediamo oggi la sempre maggiore fragilità e mediocrità non è capace di generare nulla di così bello e grandioso.
 

Quell’Italia sorda che non sente Beethoven

Ad ogni venticello sui mercati americani, l’Europa trema come una foglia autunnale sull’albero. Naturale conseguenza di una grande economia che nelle sue componenti più deboli e febbricitanti, quelle del Sud, ha rinunciato a trovare soluzioni per generare crescita e che dunque è nelle mani del ciclo americano e cinese per sperare di vedere arrestarsi l’emorragia delle proprie imprese tramite la…

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