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Due secoli fa è stato detto: “Sinceramente sono convinto che le potenze bancarie siano più pericolose che eserciti in campo” (Thomas Jefferson, 1816). Oggi è più o meno così ed è per questo che è arrivato il tempo di mettere lo Stato sopra la finanza e la finanza sotto lo Stato. Il tempo per fissare un limite allo strapotere della finanza. Farlo, finalmente, vuole dire porre fine ad un ciclo ventennale di prevalenza contro natura dell’interesse particolare sull’interesse generale, vuol dire “cacciare i mercanti dal Tempio”, vincere la malia di potere ancora esercitata dai santoni del denaro.
 
Farlo vuol dire che è solo lo Stato che emette la moneta nel nome del popolo. Vuole dire che il credito serve per lo sviluppo e non per la speculazione. Vuole dire separare “il grano dal loglio e dalla zizzania”, il produttivo dallo speculativo, come è stato per secoli. Vuole dire cominciare a difendere e stabilizzare i bilanci pubblici. Nell’insieme dare avvio ad un sistema economico e sociale diverso, non solo più etico, ma anche più efficace di quel sistema monetarista che sta ora venendo giù e purtroppo ci sta trascinando con lui. Se non facciamo resistenza, se non reagiamo, se non cambiamo. Si ripete, è arrivato il tempo per riequilibrare il potere tra la finanza e gli Stati, tra la finanza, costituita nei suoi interessi, e la politica deputata a rappresentare l’interesse generale della collettività. Anche nella peggiore delle ipotesi che si possono fare sulla politica, è infatti sempre vero che, per quanto sia o possa sembrare discutibile è comunque meglio di una finanza invincibile. È stato del resto detto che la democrazia può essere il peggiore dei sistemi, ma non se ne conoscono di migliori (Winston Churchill). Ebbene, neppure l’autocrazia finanziaria è migliore della democrazia! La casistica che oggi ci si presenta sullo scenario finanziario e bancario è davvero molto differenziata, tanto a livello nazionale quanto a livello europeo.
 
E non solo. Non c’è dunque un intervento unico da progettare, uno strumento unico da applicare. Ma c’è comunque una logica politica comune da mettere alla base di ogni necessario intervento. In alcuni casi si tratta di rendere meno sistemiche, o non sistemiche, le banche che ancora sono e/o si dicono sistemiche: ridurle di dimensione, scinderle, depotenziarle perché è arrivato il tempo della separazione tra “attività produttiva e attività speculativa”. Il tempo di separazione tra le banche che raccolgono risparmi e capitali e li investono a proprio rischio nelle grandi industrie, nelle piccole imprese, per le famiglie, per le comunità, per i giovani e le banche che giocano d’azzardo, privatizzano le vincite, socializzano le perdite. Così tra l’altro producendo un risultato opposto a quello di ogni pur discutibile forma di efficienza capitalistica.
 
Le banche devono dunque tornare a essere considerate e trattate, come “infrastrutture” al servizio dell’economia e della società. E non viceversa. In altri casi infine le banche devono essere “nazionalizzate”, prima che il loro dissesto lo renda poi necessario, magari ancora a spese della collettività. Prima, si ripete, si deve separare “il grano dal loglio e dalla zizzania”, il bene dal male, aprire o far aprire i libri contabili, imporre l’accertamento volontario o coattivo di quanto dell’uno e quanto dell’altro c’è in ogni banca, più in generale in ogni grande operatore finanziario. In specie, gli attivi e passivi “sani” devono essere separati da quelli “tossici”, che vanno segregati. Le tecniche applicabili per operare la segregazione sono diverse, insieme antichissime e modernissime: dal “sabbatico” alla “moratoria”, alla bad bank. Ma è chiaro in ogni caso che l’enorme massa finanziaria tossica, che è ancora in essere nel cosiddetto sistema, deve essere scadenzata su periodi i più lunghi possibile e accollata agli speculatori o cancellata.
 
Chi ha giocato d’azzardo non può impunemente alzarsi dal tavolo da gioco, per farci sedere qualcun altro a pagare la sua perdita. È a chi ha perso la scommessa che si deve imporre di pagare! Si deve interrompere l’infezione che ha origine nella finanza e che, senza controllo, si sta propagando fuori da questa. Molti soggetti, molti segmenti, molti blocchi bancari e finanziari devono essere avviati verso ordinate procedure fallimentari. Ad esempio verso procedure regolate sul modello del Chapter 11 degli Usa. Non si può infatti pretendere di salvare tutto, soprattutto quando l’esperienza insegna che, tentando di salvare tutto, alla fine si finisce di salvare il peggio.
 
Al tempo del New Deal, a partire dal 1933, prima furono introdotte nuove regole e fu riorganizzato il sistema bancario e finanziario, isolandolo dall’attività parassitaria, poi il denaro pubblico fu usato per investimenti pubblici, in infrastrutture, per salvare le famiglie e le industrie. Per inciso va comunque ricordato che solo il salvataggio dell’apparato industriale americano, così operato, consentì di battere il nazismo. A partire dal 2008 è stato invece fatto l’opposto: il denaro pubblico è stato prevalentemente usato per salvare le banche e i banchieri; non sono state fatte nuove regole (anzi); non c’è alcun serio, vasto progetto di investimento pubblico per l’economia industriale, fisica e manifatturiera, per le infrastrutture. Ciò che ora va prioritariamente e assolutamente fatto è invece primum vivere.
 
Abbandonare il modello della cosiddetta banca universale, che è poi il Dna della banca sistemica, base di partenza della megabanca globale fallimentare. Per farlo è necessario introdurre una nuova aggiornata versione della legge Glass-Steagall del 1933. In sintesi, ora come allora è necessario erigere una barriera antincendio, un firewall, distinguere tra banche ordinarie e banche d’azzardo, in modo che le banche ordinarie non possano più prestare i soldi dei correntisti alle banche d’azzardo o comprarne i prodotti strutturati. Una distinzione che deve e può essere fatta istantaneamente, abrogando le leggi nuove, introdotte più o meno dappertutto negli anni Novanta, e tornando alle vecchie leggi degli anni Trenta. È proprio questo che va fatto. Non basta certo inventarsi “muraglie cinesi” all’interno delle vecchie banche, come se nulla fosse.
È vero che si possono fare enormi profitti usando per la speculazione i soldi depositati in banca dai correntisti ordinari. Ma è proprio questo che va impedito. I soldi dei correntisti ordinari, prima, e dei contribuenti, dopo, non devono infatti più essere soggetti a questo tipo di rischio. Un rischio che ora si sta estendendo ai bilanci pubblici e, di qui salendo per la scala della crisi, al benessere e alla vita dei popoli.
 
Estratto dal libro Uscita di sicurezza per gentile concessione dell’autore

Contro l'autocrazia bancaria

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