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Secondo Alcide De Gasperi, almeno così raccontano le cronache dell’epoca, “la Dc è un partito di centro che guarda a sinistra”. Un concetto che, al di là di chi l’ha realmente pronunciato, riassumeva con rara efficacia quello che doveva essere e rappresentare un “partito di cattolici” nella società del secondo dopoguerra.

Ora, com’è evidente anche ai sassi, la Dc è consegnata agli archivi storici, non esiste neanche in lontananza un “partito di centro che guarda a sinistra” e, in ultima analisi, la cittadella politica italiana – ma questo è addirittura scontato ricordarlo – è radicalmente diversa rispetto alla stagione in cui fu coniato quello slogan.

Certo, dopo aver sentito che il partito personale di Matteo Renzi si auto definisce “partito di centro che guarda a sinistra”, c’è il rischio che venga anche e purtroppo ridicolizzato definitivamente quella riflessione risalente alla fine degli anni ‘40 dello scorso millennio.

Semmai, quello che si può e che si deve dire in questa precisa fase storica e politica del nostro paese, è che oggi “partito di centro che guarda a sinistra” è semplicemente impossibile nonché impraticabile.

E questo per una ragione persin troppo elementare da richiamare. Ovvero, oggi il cosiddetto “campo largo” è caratterizzato da tre sinistre, tutte ugualmente protagoniste e anche accomunate da un comune quadro valoriale e culturale.

E cioè, la sinistra radicale e massimalista della Schlein, quella populista e demagogica dei 5 stelle e quella estremista del trio Fratoianni- Bonelli- Salis.

Certo, esiste una vera e sincera competizione sul partito che guiderà l’intera coalizione di sinistra e progressista. Ne è conferma la recente manifestazione di piazza a Roma che ha segnato un indubbio vantaggio dei populisti pentastellati rispetto ai competitor della sinistra della Schlein.

Ma, al di là di questa gara avvincente, è evidente anche ai più indifferenti alle vicende politiche che la coalizione di sinistra e progressista non prevede e non contempla, se non per “grazia ricevuta”, un ruolo anche solo minimo delle forze cosiddette centriste, riformiste e moderate al proprio interno.

Ne è testimonianza il ruolo del piccolo partito personale di Italia Viva che per poter essere ammesso al prossimo banchetto delle candidature – che saranno, comunque sia, molto circoscritte – non solo deve esaltare quotidianamente la sinistra radicale, massimalista e libertaria della Schlein ma, addirittura, apprezzare pubblicamente il verbo populista e demagogico di Giuseppe Conte.

Ogni ulteriore commento, credo, è del tutto superfluo. Queste sono le ragioni, semplici ma oggettive, che portano ad una conclusione altrettanto semplice e quasi scontata.

E cioè, oggi un centro, e soprattutto una “politica di centro”, possono rinascere solo attraverso la potenziale unità delle forze centriste presenti nei due schieramenti principali che poi stringono alleanze con partiti che non sono radicalmente alternativi a quel progetto e a quella cultura politica.

L’unica cosa certa, ad oggi, è che un partito-luogo-movimento-soggetto politico centrista e riformista non può crescere – e nè tantomeno condizionare – in un progetto politico che fa delle tre sinistre unite il cemento ideologico di una coalizione.

E questo senza stropicciare goliardicamente ed irresponsabilmente la grande testimonianza e il severo magistero politico, culturale, istituzionale e di governo di Alcide De Gasperi.

La Dc non ritorna ma neanche il “partito di centro che guarda a sinistra”. L'opinione di Merlo

Un partito-luogo-movimento-soggetto politico centrista e riformista non può crescere – e né tantomeno condizionare – in un progetto politico che fa delle tre sinistre unite il cemento ideologico di una coalizione. La riflessione di Giorgio Merlo

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