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Le cifre, solo a leggerle, sono roba per cuori forti: al netto degli importi soggetti ad annullamento per frodi, errori e altro, ad oggi l’ammontare dei crediti da Superbonus nel quadriennio 2020-2023 è pari a 153,3 miliardi. Mentre i crediti fruiti finora attraverso compensazione con F24 ammontano a 41,8 miliardi, 20,8 dei quali compensati nel 2023. Tradotto, ci sono ancora oltre 100 miliardi sulle spalle dello Stato o meglio, del Tesoro, da pagare per le ristrutturazioni anticipate da famiglie e aziende. Che Giancarlo Giorgetti stia portando avanti la sua battaglia per la salvaguardia dei conti pubblici italiani, proprio dalla minaccia del Superbonus, è cosa ben nota.

Il governo, due mesi fa, è intervenuto a mezzo decreto per disinnescare una volta per tutte la mina, fermando il contatore delle domande per usufruire della misura voluta a suo tempo dal Movimento Cinque Stelle e bloccando quasi del tutto cessione del credito e sconto in fattura, nonostante la scadenza naturale a fine 2025. Il problema è però a valle: ci sono decine di miliardi che presto o tardi il governo dovrà rimborsare e questo avrà un peso sulle finanze italiane. L’azione di Giorgetti, per il quale il Superbonus è un po’ il padre di tutti gli errori degli ultimi anni, parte da alcune certezze.

Primo, da gennaio l’Italia dovrà cominciare a ridurre il sui debito dell’1% annuo. Tale regola vale per tutti quei Paesi che, Patto di stabilità alla mano, hanno un debito superiore al 90% del Pil. E Roma, che nel 2024 toccherà il 137,8% rispetto al Prodotto interno lordo a fronte di un deficit del 4,3%, è tra questi. Secondo, la crescita il prossimo anno dovrebbe accelerare all’1,2%, rispetto all’1% del 2024. Ma su tale ritmo incombono diverse incognite, a cominciare da quelle belliche e geopolitiche: i conflitti in Ucraina e Medio Oriente, le strozzature nel Mar Rosso e la concorrenza sleale della Cina.

Non è finita. All’orizzonte c’è la manovra, che al Tesoro cominceranno a scrivere in estate, nella consapevolezza che se si vuole rifinanziare il taglio del cuneo fiscale, tanto per citare una delle misure più care al governo, servirà una coperta non troppo corta. Anche perché in mezzo c’è la riforma fiscale, che l’esecutivo sta decreto dopo decreto (ormai è il tredicesimo) mettendo a terra. Certo, Giorgetti punta molto sulla revisione della spesa, ma potrebbe non bastare. E allora, ecco che si è reso necessario intervenire ancora sul Superbonus.

Come? Allungando a 10 anni la fruizione dei crediti citati, ceduti a banche o imprese in dieci anni anziché in quattro o cinque anni. “Non sarà una possibilità ma un obbligo” ha annunciato il ministro dell’Economia, intervenuto in Commissione finanze al Senato dove è in corso l’esame proprio del decreto Superbonus di fine marzo. La misura sarà contenuta in un emendamento al decreto a cui sta lavorando il Mef. L’effetto sarebbe quello di avere un beneficio sui conti pubblici in termini di cassa, e quindi sul debito.

Giorgetti, più in generale, chiude dunque a tutti gli emendamenti presentati da Pd, M5S, Lega, FI, Avs e Iv, che puntavano ad aprire delle finestre. “Non ci sarà spazio a nuove deroghe sul Superbonus nel decreto all’esame del Senato”, ha garantito il ministro. “Il governo si assume la responsabilità di presentare il suo emendamento. Gli emendamenti parlamentari non saranno presi in considerazione. Grazie agli antichi romani che hanno insegnato al mondo il diritto ci sono i diritti acquisiti, la Costituzione, c’è un principio che uno che ha cominciato il lavoro nel 2021 ha diritto di finirlo nel 2023 e presentare le fatture, cosa abbastanza banale che dovrebbe essere di facile intelligibilità per chiunque. Quando noi siamo intervenuti a porre una diga a questa cosa la valanga era già partita. Una volta arrivata giù la valanga ha prodotto disastri. Quando noi siamo arrivati al governo siamo stati avvisati e abbiamo fatto il possibile, ma purtroppo era già partita”.

Superbonus, Giorgetti corre ancora ai ripari per salvare i conti

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