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Dopo le imprese, anche i pazienti scendono in campo per fermare i motori del payback. Lo scorso luglio la Consulta, dopo aver rinviato la sua decisione di oltre un mese, ha confermato la legittimità costituzionale di fondo meccanismo che impone alle aziende che riforniscono le regioni e le loro sanità di dispositivi medicali, di concorrere allo sforamento dei tetti di spesa. Certo, i giudici hanno ammesso nella loro sentenza l’esistenza di criticità nella norma. Ma è stato comunque un colpo alle imprese del settore, ora con ogni probabilità costrette al pagamento di 1,1 miliardi di euro, a fronte degli sforamenti di spesa per il quadriennio 2015-2018.

Da quel momento è stato tutto un susseguirsi di appelli da parte delle aziende, affinché il governo disinnescasse la mina, magari infilando una norma nella manovra, in grado di impedire un esborso che avrebbe certo ripercussioni non banali, soprattutto sulle aziende più piccole e con meno capacità di cassa. L’impegno non è certo mancato da parte dell’esecutivo, anche se una soluzione concreta non è ancora stata trovata. E anche il Pd si è mosso, depositando una proposta di legge ad hoc. Ma a questo punto, per aumentare il pressing sul Tesoro e su Palazzo Chigi, anche le associazioni di pazienti e la comunità medico-scientifica si sono unite al coro.

Come? Aderendo all’appello delle imprese di dispositivi medici per scongiurare la crisi irreversibile del comparto in Italia con gravi conseguenze anche sulle forniture al servizio sanitario nazionale e sull’accesso alle cure da parte dei pazienti. In una lettera indirizzata al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, le 17 associazioni “chiedono un intervento urgente e indifferibile, già nel corso della sessione di bilancio appena avviata, per bloccare il meccanismo del payback e salvare una filiera produttiva e distributiva di eccellenza a livello internazionale, la qualità del servizio sanitario pubblico e l’accesso all’innovazione per la tutela della salute dei pazienti e dei cittadini italiani”.

Questo perché “gli effetti sulla filiera della salute, all’interno degli ospedali e sull’intero servizio sanitario pubblico”, si legge ancora nella missiva, sarebbero disastrosi: la crisi e il blocco delle catene di produzione distribuzione significherebbero una minore disponibilità di dispositivi medici all’interno degli ospedali, un limitato livello di innovatività nei device a disposizione dei medici con impatto immediato sulla qualità del lavoro dei medici in corsia e nelle sale operatorie, sulla capacità di diagnostica preventiva, sulla quantità di percorsi formativi per i clinici. In ultima istanza, il venire meno una pedina delle tre fondamentali sulla scacchiera del diritto alla salute (istituzioni, imprese, personale medico e sanitario) significherebbe colpire pesantemente il Servizio sanitario nazionale a scapito delle persone più deboli o che non possono permettersi cure private”. Palla al governo.

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