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Sono profondamente convinto che senza una “nuova Camaldoli” è difficile sperare in una rigenerazione del nostro Paese.
L’evento Camaldoli riassume il contributo originale che i cattolici seppero dare per la ricostruzione dell’Italia, a partire dalla Resistenza antifascista.
Negli stessi giorni in cui a Roma il regime di Mussolini veniva messo definitivamente in crisi, nel monastero di Camaldoli un gruppo di intellettuali cattolici elaborava l’idea di una nuova Carta, una tavola di valori fondativi della convivenza democratica.
Il gesuita Francesco Occhetta su La civiltà cattolica (20 febbraio 2010) così afferma: «Il contributo che i costituenti cattolici diedero
ai lavori dell’Assemblea costituente per costruire la democrazia italiana fu il frutto di una lunga e paziente preparazione vissuta durante la guerra. Gli anni tra il 1942 e il 1948 possono essere considerati tra i più fecondi per il pensiero cattolico. Purtroppo non sono molti gli studi che hanno avuto l’audacia di superare la classica tesi che considera la Costituzione esclusivamente frutto della Resistenza. In realtà il periodo della “resistenza alternativa” dei cattolici italiani durante la guerra, vissuto nel silenzio del servizio e di una formazione ai valori democratici, permette di comprendere dove affondano alcune radici nascoste della democrazia italiana».
 
È Oscar Luigi Scalfaro, padre costituente e poi presidente della Repubblica, a ricordare che quando nel settembre 1946 iniziarono i lavori delle tre sottocommissioni dell’Assemblea costituente, molti interventi dei deputati cattolici si richiamarono a tre momenti fondamentali, che costituivano per il mondo cattolico le linee di etica sociale da seguire. Questi tre momenti – così Scalfaro li elenca – furono i radiomessaggi natalizi del 1942 e del 1944 di Pio XII; la redazione del Codice di Camaldoli del 1943; la linea politica emersa dalla XIX Settimana sociale dei cattolici italiani dedicata al tema “Costituzione e costituente”, svoltosi a Firenze nel mese di ottobre 1945. È inoltre opportuno ricordare che tutti e sette i nuclei tematici del Codice di Camaldoli includevano esattamente i grandi temi sui quali si sarebbe articolata la Costituzione italiana, vale a dire: lo Stato, la famiglia, l’educazione, il lavoro, la destinazione e la proprietà dei beni materiali, la loro produzione e il loro scambio, l’attività economica pubblica, la vita internazionale.
Vorrei inoltre sottolineare come quel periodo storico fosse vissuto, sul versante cattolico, come una sorta di tempo opportuno e di “stato nascente”.
Non è un caso che proprio in quegli anni anche le Acli videro la loro origine. Grazie alla figura del loro fondatore, Achille Grandi, cattolico antifascista, tra i principali protagonisti dell’appello sturziano ai “liberi e forti”, eletto dopo il ventennio fascista vice presidente dell’Assemblea costituente. Grazie ad altre figure di aclisti che con l’evento di Camaldoli sono direttamente collegate. Vittorino Veronese, inventore dell’acronimo Acli (Associazioni cristiane lavoratori italiani), colui che fece conoscere a tutti il Codice di Camaldoli, pubblicato e diffuso sotto gli auspici dell’Icas (Istituto cattolico di attività sociale), di cui era presidente. Quindi Giorgio La Pira, fondatore delle Acli di Firenze, che ci consente di collegare direttamente l’evento di Camaldoli (poiché fu anche lui tra i collaboratori) alla Costituzione repubblicana che lui stesso contribuirà a redigere come membro della Commissione dei 75.
 
Sono convinto da tempo che per tirare fuori l’Italia dalla palude – che è insieme immobilismo politico, turbolenza istituzionale e disastro antropologico – occorra riscoprire quello spirito di Camaldoli e quella capacità di “visione” senza la quale saremo condannati a rimanere a lungo prigionieri di un nichilismo paralizzante.
Camaldoli è il nome che indica il crocevia tra la Resistenza, la ricostruzione democratica e i valori della Carta costituzionale. Un esempio emblematico è quello relativo all’art. 1 della Costituzione (l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro). Tutto inizia da una proposta di La Pira (“Il lavoro è il fondamento di tutta la struttura sociale”) cui se ne aggiunge un’altra avanzata dal leader comunista Palmiro Togliatti (“lo Stato italiano è una Repubblica di lavoratori”) per concludersi con un emendamento vincente formulato – tra gli altri – da Aldo Moro e Amintore Fanfani. Questa evidente convergenza sui valori farà scrivere a Padre Bartolomeo Sorge che esiste «una piena assonanza tra la dottrina sociale della Chiesa e la Costituzione: la Costituzione è laica, mentre la dottrina sociale si basa sulla rivelazione cristiana, sul diritto naturale, sul magistero della Chiesa.
 
Ma è bellissimo il modo con il quale quella prima schiera di cattolici che, assieme agli esponenti delle altre tradizioni politiche italiane, ha dato vita alla Costituzione, ha condotto la mediazione tra la luce che la fede getta sull’antropologia e le scelte laiche» (Jesus, dicembre 2010).
Attenzione, però. Una nuova Camaldoli non significa affatto che un gruppo di intellettuali e di politici illuminati debbano mettersi ad elaborare un testo programmatico poiché questo vorrebbe dire confondere la “lettera” con lo “spirito”.
La vera ricchezza di Camaldoli non sta tanto in un catalogo di enunciati per quanto ben confezionati ed espressi in una prosa brillante e cristallina.
Non è di nuove formule o di parole altisonanti che abbiamo bisogno, ma di folate di vento, spirito di dialogo, clima di ricostruzione, atmosfera di nuovo risorgimento, voglia di rigenerazione. Solo da qui, da questa “nuova Camaldoli”, potrà finalmente prendere il via la nostra terza Repubblica.

Una traccia per la repubblica che verrà

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