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Mari e oceani sono una sorta di “settima economia più grande al mondo”, generando una ricchezza stimabile equivalente a circa 1,5 trilioni di dollari all’anno. Essi rappresentano il 97% di tutto il globo acqueo e l’80% delle forme di vita ne sono dipendenti per esistere. Secondo il Rapporto della Commissione europea sulla Blue economy 2023, i comparti consolidati dell’economia del mare dell’Unione europea (consistenti in risorse biologiche marine, risorse marine non viventi, energie marine rinnovabili, attività portuali, costruzione e riparazione navale, trasporto marittimo e turismo costiero) hanno generato un Valore aggiunto lordo (Val) di circa 129 miliardi di euro nel 2020 (pari a 1,1% di tutto il Val dell’Ue), equivalenti a 43,6 miliardi di euro di utile, e un fatturato totale di 523 miliardi di euro. Tali valori sono rispettivamente in calo del 30%, del 40% e del 22% rispetto al 2019 per le conseguenze del Covid-19, ma dimostrano che rispetto al 2010 il settore ha complessivamente molto aumentato la performance in termini di Val nei settori delle risorse viventi (+ 25%), delle attività portuali (+25%), dell’eolico offshore (+ 1762%) e della costruzione e riparazione navale (+ 22%).

L’Europa punta sulla Blue economy

La Blue economy Ue ha creato 3,34 milioni di posti di lavoro, pari a circa l’1,8% del totale degli occupati nell’Unione e il turismo costiero, il più grande “settore blu” unionale, ha sopportato la crisi continuando a generare la quota maggiore di occupazione (51%) e di Val (26%). Il comparto è molto rilevante per l’Italia che in assoluto, assieme a Germania, Spagna e Francia, è uno dei quattro maggiori Stati membri contributori alla Blue economy unionale per occupazione, con un contributo combinato del 55%, e per Val, con un contributo combinato del 57%. Inoltre l’Italia, con Danimarca e Spagna, è il Paese che contribuisce di più per il Val prodotto (11%).

La strategicità del mare

La principale modalità di trasporto nel commercio internazionale è quella marittima, poiché più del 90% dei beni è trasportato via mare; oltre il 40% del commercio mondiale passa attraverso Zone economiche speciali (Zes) e in alcune filiere di approvvigionamento di determinati beni, nei flussi commerciali Europa-Far east, la percentuale sale ulteriormente in modo sensibile, poiché la quasi totalità delle fasi produttive avviene in Zes o in Zone franche. Pertanto, il connubio Blue economy-Zes, nelle varie declinazioni, è la strategia potenzialmente vincente dello sviluppo economico del XXI secolo, come avvalorato dal fatto che in molti Stati il mare e le Zes sono fattori-chiave di molte economie costiere.

La partita italiana

Per l’Italia questo binomio può costituire anche un fattore di interesse nazionale per la salvaguardia dell’economia e dello sviluppo sociale. Quindi bisognerebbe aumentare la sinergia di sviluppo tra economia del mare, Zes, e drivers simili come le Zone logistiche semplificate (soprattutto se Zls rafforzate) per rendere il nostro Paese un volano di attrazione di eco-investimenti internazionali non speculativi, di know-how e permetterebbe di generare nuovi posti di lavoro sostenibili. Contestualizzare tale esigenza nelle dinamiche di sviluppo della Blue economy significa, anzitutto, esplicitare concretamente strategie operative in linea con l’Obiettivo 14 dell’Agenda 2030 e quindi adottare un approccio sustainability-oriented per definire le strategie di attrazione degli investimenti.

Un ottimo strumento

In tal senso le Zes sono lo strumento migliore per attuare uno sviluppo compatibile con le infrastrutture sostenibili, l’efficienza energetica, la tutela ambientale, la green energy, la tutela delle acque, l’economia circolare, anche in relazione ai loro fattori-obiettivo chiave contraddistintivi. Le Zes rappresentano i migliori strumenti di accelerazione dello sviluppo economico single purpose o multi-purpose/multi-product esistenti: catalizzazione e promozione degli Fdi; accelerazione del trasferimento di conoscenze; sostegno alla diversificazione economica; facilitazione nella creazione di occupazione e di aggiornamento delle competenze; adozione di riforme economiche più ampie all’interno dei Paesi e incubazione di politiche innovative; creazione di poli/cluster di attività economiche specializzate; approfondimento e ampliamento delle industrie e delle catene di valore globali. La creazione di standard ecosostenibili delle Zes, certificati da organismi internazionali, può agevolare l’erogazione di aiuti finanziari da parte di istituti bancari specializzati in finanziamenti per imprese sustanaibility-oriented o per benefit corporations. Tale fattore delinea ampie prospettive per le “imprese blu” di cui si prevede una crescita esponenziale altissima nel prossimo decennio, anche sotto la spinta dell’innovazione e della tecnologia.

Verso un trasporto marittimo più sostenibile

A tale riguardo le maggiori opportunità di sviluppo economico che potrebbero trarre benefici dalla sinergia con le Zes/Zls riguardano la sostenibilità del trasporto marittimo, l’aumento delle energie rinnovabili offshore, il turismo sostenibile, la produzione di tecnologie avanzate di efficientamento della sostenibilità della pesca, la creazione e commercializzazione di nuovi tipi di alimenti marini, l’acquacoltura sostenibile. D’altronde la specializzazione delle Zes, nel senso di una strutturata sostenibilità abbinata a una maggiore incisività dell’impatto prodotto rispetto all’economia nazionale ospitante, stanno divenendo sempre più i fattori-chiave per aumentare la competitività internazionale rispetto a Zes che fondano la loro concorrenzialità, ancora, soltanto su politiche basate su vantaggi di costo, mediante panieri di incentivi fiscali/doganali e agevolazioni di natura immobiliare per gli investitori.

La diffusione delle Zes green

Infatti, sono sempre più diffuse nel mondo zone eco-industriali, zone a bassa emissione di carbonio, Zes green e zone economiche circolari, caratterizzate per la specializzazione nell’efficientamento sostenibile idrico ed energetico, e per la previsione di incentivi per eco-investimenti, come ad esempio avviene soprattutto in alcune Zes asiatiche e africane. Inoltre bisogna evitare, come invece forse è avvenuto sinora in Italia, che le Zes risultino enclavi privilegiate rispetto a un extra-perimetro ordinario nazionale nei cui confronti non producono alcun effetto economico e sociale. Pertanto, è necessario strutturare l’operatività e la gestione delle Zes in modo tale da assicurare l’aumento del loro impatto sull’economia dell’intero Paese ospitante e per far ciò bisogna anzitutto tener conto dello specifico potenziale del Paese connesso alla risorsa naturale principale disponibile. Per l’Italia tale fattore è sicuramente il mare che la circonda per tre lati, e quindi il connubio Blue economy e Zes/Zls dovrebbe essere oggetto di una strategia nazionale di sviluppo di ampio respiro, appositamente strutturata dal punto di vista delle specializzazioni insediative e della governance, tale da connotare irrefutabilmente la sua immagine sui mercati internazionali come il “Paese del mare”.

L’Italia, il Paese del Mare. Un nuovo approccio alla Blue economy secondo D’Amico

Di Maurizio D’Amico

Per l’Italia il connubio tra Blue economy e Zone economiche speciali/Zone logistiche semplificate dovrebbe essere oggetto di riflessione per imbastire una strategia nazionale di sviluppo di ampio respiro, volta a far crescere l’intero sistema-Paese. L’analisi dell’avvocato Maurizio D’Amico, segretario generale e membro del Board of Trustees del The World Free & Special Economic Zones Federation (Femoza)

 

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