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Il problema è uno.

Il linguaggio politico duro e crudo può riempire la pancia, ma svuota la credibilità del pensiero.
Si genera così diffidenza e logorio politico.

La libertà di “pensare” implica saperla governare. Se no rischia la sostituzione etima (evolutiva peraltro) dove con quest’ultima parola si tende alla mistificazione dei significati (da non confondere con il termine etimo). Infatti traduzione dalla parola etima in lingua lingala, usata in Congo, è cuore (esempio è il cuore del problema).

Parlare di sostituzione etnica nel 2023, quindi, è non solo anacronistico, ma pericoloso soprattutto considerata la scelta politica ipotizzata per il futuro riguardo a cuscinetti di regolarizzazione (circa 500 mila persone stimate proprio dal ministro dell’agricoltura).

Ignorare la funzione del linguaggio o usare quest’ultimo in una certa direzione rischia di svalutare e sciupare le eventuali cose buone che su altri piani politici si stanno mettendo in campo.

Infine, semmai si volesse intendere con sostituzione etnica quel che in Unione europea viene definito “replacement by immigration“, il concetto espresso in inglese è relativo al rimpiazzo lavorativo ed economico e non etnico. Peraltro il concetto di cui sopra proviene dagli studi delle Nazioni unite sul come fronteggiare le diverse emergenze e crisi nel mondo da cui originano le migrazioni da povertà e disperazione.

Quindi, certamente auguri di buon lavoro come sempre, ma si faccia attenzione al linguaggio perché con quest’ultimo si scrivono le leggi. E sappiamo bene quanto una legge scritta in un certa maniera può creare effetti collaterali o distorsivi.

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Parlare di sostituzione etnica nel 2023 è non solo anacronistico, ma pericoloso. Ignorare la funzione del linguaggio o usare quest’ultimo in una certa direzione rischia di svalutare e sciupare le eventuali cose buone che su altri piani politici si stanno mettendo in campo

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