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La misura più significativa è la revisione del Reddito di cittadinanza. In estrema sintesi, nel decreto Lavoro che dovrà essere licenziato dal Consiglio dei ministri, si può dire che il governo ha mantenuto la sua linea: meno risorse per l’assistenzialismo, più risorse per le politiche attive sul lavoro. Questo provvedimento in qualche misura fa il paio con l’approvazione della legge sull’equo compenso e più in generale sulla nuova geografia che l’esecutivo sta disegnando per il mondo del lavoro. “Sicuramente il governo ha proposto un decreto coerente con le promesse elettorali. Abbiamo la certezza dei tagli all’assistenzialismo, ma la vera prova sarà capire quali realmente saranno le politiche attive per il lavoro”. La pensa così Michel Martone, docente di Diritto del lavoro all’Università La Sapienza di Roma che, a Formiche.net, dà una sua lettura dei contenuti del documento.

Partiamo dalla revisione del Reddito di cittadinanza. Diminuisce la platea dei percettori, gli importi e varia anche la finalità. Quali saranno gli effetti?

La revisione del Reddito di cittadinanza costituisce senz’altro il punto più “politico” di questo decreto, per lo meno stando alle informazioni in nostro possesso. Il governo in questo modo si inserisce nel solco di quanto dichiarato in campagna elettorale. L’obiettivo è quello di reperire almeno tre miliardi, riducendo la quota a disposizione per i percettori.

C’è anche una variazione sulle tipologie di categorie di aventi diritto.

Sì, perché in sostanza dovrebbe per lo meno nelle intenzioni, cambiare la finalità di questo strumento. Riducendo la quota verso gli “occupabili” l’esecutivo rimarca un principio: si tratta di una misura passeggera e con un range di tempo limitato. Periodo durante il quale per gli “occupabili” sarebbe auspicabile l’avvio di corsi di formazione per avviarli al mondo del lavoro.

Quale sarà l’utilizzo di questi tre miliardi recuperati dal “taglio” al Reddito di cittadinanza?

Questo è il vero tema sul quale si potrà in effetti esprimere un giudizio sull’operato del governo. Stando alle dichiarazioni dei membri dell’esecutivo queste risorse dovrebbero essere finalizzate al taglio del cuneo fiscale e alle politiche attive per il mondo del lavoro. Diversamente, se verranno investite in altre poste di bilancio, avrà ragione chi sostiene che il governo taglia il reddito per fare cassa.

Sul versante degli sgravi, è previsto un bonus per chi assume under 30. Mi pare siano politiche attive queste.

Sulle nuove assunzioni la direzione assunta è quella giusta. Il problema è l’esiguità delle risorse. A fronte di un obiettivo così importante non bastano cinquanta milioni quest’anno e 80 il prossimo. Occorre investire di più.

Anche sulla contrattualistica sono stati fatti dei passi avanti. Come giudica la decisione di prorogare i contratti di “espansione”?

Positivamente: i contratti di espansione hanno dimostrato di essere strumenti utili che consentono di gestire gli esuberi in maniera più efficace e moderna della cassa integrazione, senza ingessare le aziende. Giusta anche la semplificazione per i contratti a termine. L’unico punto sul quale occorre prudenza è legato alla qualità del lavoro.

Che cosa intende dire?

Mi sembra che il governo non sia stato particolarmente attento a recepire alcune preoccupazioni che sono arrivate dal mondo sindacale ad esempio. Per i giovani, in particolare, occorre essere attenti anche alla qualità del lavoro. Va evitato, insomma, che attorno a questo decreto si crei una polarizzazione che porta al conflitto sociale.

Da ultimo, una valutazione sulle novità in tema pensionistico?

A fronte delle dichiarazioni fatte in campagna elettorale, mi pare si stia ancora discutendo di una proroga di quota 103. Nessuna rivoluzione della riforma Fornero.

 

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