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L’una si prende una pausa di riflessione e gli americani non potrebbero chiedere di meglio, con un costo del denaro al 5,2%. L’altra, invece, preferisce mantenere il passo, rimandando il pit stop a dopo l’estate. Federal Reserve e Banca centrale europea, le due principali istituzioni monetarie globali, dividono le loro strade, dopo mesi passati a rincorrersi (più Francoforte che inseguiva Washington, per la verità).

Nella notte italiana, la Banca centrale americana ha deciso di tenere fermi i tassi di interesse al 5-5,25%, come ampiamente anticipato dai mercati. La decisione è stata presa, spiega il comunicato diffuso dopo la fine della riunione di giugno, per permettere al Comitato di politica monetaria di “valutare le informazioni in arrivo e le loro implicazioni”. La decisione, contrariamente alle attese di diversi analisti, è stata presa all’unanimità, e quasi tutti i governatori ritengono che altri rialzi dei tassi saranno necessari entro fine anno. Dunque, la sensazione è quella che lo stop di giugno sia solo una pausa per prendere un po’ di fiato, anche alla luce del rallentamento dell’inflazione americana, scesa a maggio al 4%, ai minimi da due anni.

Ma è presto per parlare di vera e propria frenata. Il governatore Jerome Powell ha dato la cifra. “Quasi tutti i partecipanti (alla riunione del comitato di politica monetaria, ndr) pensano che sarà appropriato aumentare ancora un po’ i tassi entro la fine dell’anno”, ha spiegato in conferenza stampa, senza però dare indicazioni sui tempi dei prossimi rialzi. Le nuove proiezioni economiche sono coerenti con queste nuove attese: per fine anno i dots, i punti che indicano le previsioni dei singoli governatori, hanno una mediana del 5,625% – corrispondente a tassi al 5,50,5,75%, mezzo punto al di sopra del livello attuale – mentre a marzo si fermavano al livello attuale (5,125%, pari al 5-5,25%).

Va bene, ma qualche migliaio di chilometri a Est, la musica è diversa. La Banca centrale europea di Christine Lagarde ha infatti deciso di aumentare ancora il costo ufficiale del credito, di 25 punti base, nella riunione di giugno, portando il tasso di riferimento al 4%, dopo aver toccato il 3,75% due mesi fa. Un livello storicamente non altissimo, tanto per lasciarsi ancora mani libere per il futuro. Altri due rialzi, a luglio e settembre, non sono infatti per nulla improbabili. La stessa Bce indica nel suo bollettino che le misure di mercato delle aspettative di inflazione a un anno puntino al 2,2%: i tassi reali nella parte a breve della curva sono quindi vicini all’1,8% ma le aspettative dei consumatori puntano più in alto, al 2,9% per il 2026.

Con un comunicato, l’Eurotower ha rilevato che, sebbene sia calata, l’inflazione è prevista restare “troppo alta per troppo tempo”, ribadendo la sua determinazione a farla attenuare. Per questo reitera l’intento di portare i tassi “a livelli sufficientemente restrittivi da conseguire un ritorno tempestivo dell’inflazione all’obiettivo del 2% nel medio termine” e di mantenerceli “finché necessario”. La Bce ha anche formalizzato la decisione, su cui si era già orientata, di azzerare a partire da luglio i rinnovi di titoli in scadenza accumulati con il programma di acquisti App.

Di sicuro, in Italia c’è chi passerà un’estate non troppo tranquilla. Un aumento delle rate dei mutui fino a 275 euro rispetto all’anno scorso è la cifra dell’impatto dell’ultima mossa di Francoforte. Con la ragionevole prospettiva che la corsa dei tassi potrebbe non essere finita visto che, secondo le aspettative di mercato, il picco dell’Euribor verrà raggiunto a settembre prossimo.

Fed e Bce dividono le loro strade. Ma è solo un arrivederci​

Nella notte italiana la Banca centrale americana ha fermato il costo del denaro al 5,2%. Mentre Francoforte ha dato ancora gas ai tassi, aggiornando il contatore al 4%. Ma per Washington si tratta solo di una pausa di riflessione, la corsa al rialzo non è ancora finita

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