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Si torna dunque a discutere di nucleare. A 12 anni da Fukushima, che fu la causa dello stop al secondo piano nucleare italiano dopo il primo referendum del 1987, il governo ha lanciato la “Piattaforma Nazionale per un nucleare sostenibile” sotto l’egida di Enea (l’Ente di ricerca delle energie alternative che non ha mai abbandonato la ricerca, anche applicata) e di Rse, il centro ricerca economica del Gse. Insomma si parte col piede giusto: università, imprese private, enti pubblici sono chiamati a fotografare lo stato dell’arte e a produrre nei prossimi mesi analisi e riflessioni e a “definire in tempi certi un percorso finalizzato alla ripresa dell’utilizzo dell’energia nucleare in Italia e alle opportunità di crescita della filiera industriale nazionale già operante nel settore”.

L’obiettivo prioritario della Piattaforma, precisa il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, sarà di sviluppare nell’arco di alcuni mesi linee guida e una roadmap, con orizzonte 2030 e 2050, per seguire e coordinare gli sviluppi delle nuove tecnologie nucleari nel medio e lungo termine.

Nel medio termine, la necessità è di valutare le possibili ricadute in ambito italiano dell’impiego di specifiche tecnologie, in particolare gli Small Modular Reactor e i reattori di IV generazione, soppesandone anche di livello di sicurezza ed economicità. Nel lungo termine, la Piattaforma dovrà agire a supporto dello sviluppo della generazione di energia dalle rinnovabili, secondo gli obiettivi indicati nell’aggiornamento del PNIEC per giungere alla decarbonizzazione totale al 2050. Essa si rivolge a una pluralità di attori, tra cui Pubblica Amministrazione, imprese, associazioni di categoria, mondo delle Università, ricerca e società civile.

A differenza del Piano del decennio scorso, che aveva sposato la tecnologia francese Epr e il modello di centrale di terza generazione in costruzione a Flamanville, il percorso ipotizzato dal ministro Gilberto Pichetto Fratin, dunque, non esclude nessuna tecnologia né generazione, con una particolare attenzione ovviamente alla terza plus e alla quarta, con un orizzonte temporale di 30/40 anni. Questo approccio dovrebbe evitare veti incrociati tra detentori delle diverse tecnologie e inciampi geopolitici, ma soprattutto consentirà all’Italia – che è restata inevitabilmente indietro – di recuperare con l’ultima tecnologia disponibile, non aggiustando e correggendo la più vecchia.

Fin qui tutto bene. Nell’incontro di lancio, la scorsa settimana al Ministero della Sicurezza Energetica, i più entusiasti erano i professori e gli ingegneri, costretti a lavorare nell’ombra in questi anni per tenere viva la fiammella della ricerca. Poi le aziende, Enel, Edison, Eni, Nucleo e altre che stanno scaldando i muscoli o che hanno concentrato le loro competenze all’estero. E poi ci sono i siderurgici, come Duferco, dopo aver investito nell’ampliamento della centrale in Slovenia sono pronti ad partecipare al nucleare italiano per garantirsi energia a prezzi competitivi.

E gli italiani? Uno dei tavoli di lavoro della Piattaforma è dedicato proprio all’accettabilità sociale e alla comunicazione. È il settimo ma dovrebbe essere il primo perché affrontare un piano nucleare senza aver “preparato il terreno” e promosso una nuova sensibilità nell’opinione pubblica è un sicuro fallimento. Ci sono però, oggi, molti elementi che possono generare fiducia negli operatori e nelle istituzioni.

Il primo è la nuova e forte sensibilità sui temi della sostenibilità e dei cambiamenti climatici. Il nucleare è entrato nella tassonomia europea ed è generalmente riconosciuto come la tecnologia che può, assieme alle rinnovabili e agli accumuli/batterie, battere i carburanti fossili. Di questo sono forse più convinti i movimenti giovanili più battaglieri che le storiche associazioni dell’ambientalismo classico.

Il secondo: la guerra ucraina e la conseguente crisi del gas ha messo tutti di fronte al rischio di restare al buio e al freddo. L’eccessiva dipendenza da una risorsa e da un Paese – il gas russo – ha dimostrato la fragilità del nostro sistema. In pochi mesi il governo prima Draghi ora Meloni ha garantito risorse alternative, da Paesi però che non garantiscono stabilità eterna. L’unica soluzione per un Paese che non ha risorse naturali proprie è l’indipendenza che può dare il nucleare.

Il terzo: dopo anni di critiche all’approccio scientifico oggi pare recuperare nell’opinione pubblica diffusa un certo rispetto per il pensiero scientifico. Il Covid, pur dando voce a sparute minoranze no vax, ha riportato nei cittadini la consapevolezza che ricerca e tecnologia sono fondamentali per il benessere dei cittadini.

Il quarto: rispetto al precedente Piano nucleare oggi la comunicazione si è resa più sofisticata. Abbiamo capacità di monitorare le conversazioni online, diffondere in modo massiccio il pensiero e i contenuti, arginando l’uso strumentale della rete.

Basterà tutto questo? Certamente no. L’avvio di una riflessione sul nucleare richiede un approccio sistemico della comunicazione e l’uso delle tecnologie e delle tecniche più sofisticate di marketing e di coinvolgimento. Metodi che le principali aziende possono mettere in campo con risorse economiche adeguate. Nel decennio scorso, l’Enel si fece carico non solo dell’approccio tecnico e ingegneristico, ma anche di proporre e sostenere un articolato piano di coinvolgimento e di informazione degli stakeholders che è ancora oggi un modello di comunicazione integrata.

Il cosa fare, dunque, lo sappiamo: analisi continua delle opinioni di diverse categorie di cittadini, studi del linguaggio più adatto a dialogare con i diversi stakeholder, capacità di analizzare i potenziali conflitti e micro-conflitti, tempestività nel comunicare attivando la maggioranza silenziosa, anche con strumenti come il dibattito pubblico. Quest’ultimo strumento, mutuato dall’esperienza sulle grandi infrastrutture, può essere determinante nel superare gli “stalli” dell’opinione pubblica su posizioni apparentemente inconciliabili. Lo fa consentendo ai partecipanti di esprimere, su un piano razionale ed evitando le dinamiche “muro contro muro”, i propri argomenti a favore e contro una scelta, portando perciò il consenso (e il dissenso, dove non sia possibile trovare una mediazione) su un piano razionale e documentato.

Proprio il tema del nucleare, peraltro, in Italia non è nuovo a pratiche di discussione informata. L’utilizzo del dibattito pubblico, nel presentare il deposito nucleare di Sogin, ha mostrato non decenni fa, ma nel corso dell’autunno del 2022, in 22 incontri in ciascuna regione, che l’opinione pubblica è matura ad affrontare temi complessi e divisivi come il nucleare, molto più matura dei governi e delle forze politiche che negli ultimi 10 anni hanno messo in cassaforte la mappa delle aree idonee al deposito (miliardi di investimenti) per paura di perdere voti.

Più di tutto, dunque, conterà la coerenza e la perseveranza. Gli stop and go, i cambi di linea, i messaggi contraddittori sono le pillole avvelenate in un dibattito che può essere certo anche teso e vivace in alcuni momenti, ma anche riflettere una maturità nelle scelte che in molti casi i cittadini italiani mostrano di avere.

 

Come affrontare il dibattito sul nucleare. La visione di Comin

L’utilizzo del dibattito pubblico, nel presentare il deposito nucleare di Sogin, ha mostrato non decenni fa, ma nel corso dell’autunno del 2022, in 22 incontri in ciascuna regione, che l’opinione pubblica è matura ad affrontare temi complessi e divisivi come il nucleare, molto più matura dei governi e delle forze politiche che temono di perdere voti. L’intervento di Gianluca Comin, docente di Strategie di Comunicazione alla Luiss

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