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Ci sono nel nostro Paese luoghi speciali, iconici, complessi. In grado di riassumere in sé il senso stesso della storia di un’intera civiltà. Non, quindi, luoghi semplicemente diversi dagli altri.

Luoghi dai contorni precisi, definiti. Spazialmente, porzioni piccole di territorio non solo rispetto all’intero Paese ma anche rispetto all’area vasta nell’ambito della quale sono, rispettivamente, inseriti. E, tuttavia, luoghi ampiamente travalicanti – per tanti significati – i confini che segnano, ancora oggi, perfino il limite della sovranità statale.

In primis, Roma. Con le sue grandezze, e allo stesso tempo le sue estreme fragilità. Con i suoi doveri di Capitale senza corrispondenti diritti. Con l’incombente presenza, attraverso le relative istituzioni, di uno Stato intero. Anzi, due.

Con la difficoltà accresciuta, per tutte queste ragioni, di ricercare una soluzione a problemi che anche altrove sarebbero difficili, ma non altrettanto difficili. Persino negli spostamenti quotidiani – resi ancor più complessi negli ultimi tempi anche da un sovrappiù di presenze turistiche rispetto al solito – dato che è divenuta ormai un‘ardua impresa la semplice ricerca di un taxi. Per tutti, naturalmente, anche per i non romani.

Ecco, quello di Roma e dei non romani è un tema (anche se non certo l’unico). Non tutti i non romani sono a Roma una presenza fissa, individualmente considerati. Ma è invece una presenza fissa a Roma quella dei non romani, come entità deindividualizzata. Semplificando, e per restare alle sole presenze certamente legali sul territorio, parte di essi vengono a Roma spinti da una capacità attrattiva basata prevalentemente su una storia ineguagliabile; l’altra parte, dal suo odierno ruolo all’interno dello Stato.

Cerco di non banalizzare, ma sul piano concreto, non c’è, oggi, una Roma senza i non romani. Solo che leggi e regolamenti vigenti sono scritti e applicati come se i non romani non ci fossero. Nella realtà viva di tutti i giorni, invece, ci sono eccome. Presenze essenziali, per tante ragioni. Si tratta allora di fare spazio, nelle leggi e nei regolamenti, ai non romani, riconoscendone l’immanenza, con la relative implicazioni. Dando per l’effetto a Roma, in quanto Capitale – e quindi a fronte dei suoi doveri di non negare al mondo la disponibilità della sua storia millenaria e di non sottrarsi al ruolo che lo Stato le ha assegnato – adeguati poteri, quando non anche appropriati diritti. Non è, certo, solo una questione di flussi e di presenze (dalle ampie rigenerazioni urbane possibili alla creazione di nuovi ecosistemi produttivi necessari), ma c’è di sicuro anche quella questione.

Per Roma, dunque, occorrono adeguati poteri, quando non anche appropriati diritti. Non diversamente, per vero, da quanto accade a tante Capitali degli altri Paesi d’Europa.
Roma, certamente. Ma a Venezia la musica non è troppo diversa.

Tanti, i non veneziani. Ogni giorno, tutto l’anno. Troppo piccola, la città, per un desiderio, globale, tanto grande. E in spopolamento. E in cerca di rinnovate durevoli vocazioni economiche a misura anche di distretto, nell’areale portuale e nelle aree contigue con densa storia industriale (novecentesca). E, ancora, sempre in bilico nel fragile equilibrio che tenta, quotidianamente, di darle un futuro conciliando anche l’inconciliabile: dal turismo giornaliero mordi e fuggi fino alla preservazione di habitat naturali assolutamente unici.
Tanto, troppo tempo è trascorso dalla Legge speciale per Venezia. Era il 1973, poi rivista circa 20 anni dopo, poi semplicemente rifinanziata. Ma la Venezia di oggi è la stessa del 1973? I temi e le questioni da affrontare sono le medesime? Nulla è accaduto nel frattempo?

Roma e Venezia richiedono, oggi, nuovi paradigmi. Uno scatto in avanti per superare la logica ormai logora che punta tutto, in fondo, sulla pazienza dei romani e su rifinanziamenti inerziali per Venezia. Questa è la (non) visione di sempre, ma adesso ne occorre, con urgenza, una vera, ispirata da un senso – pieno e avvolgente – di contemporaneità.
Per elaborare nuovi paradigmi, occorrono tuttavia nuovi cantieri istituzionali. Per Roma, un punto di partenza a dire il vero già ci sarebbe. Mi riferisco alla proposta di legge (AC514), a firma di Barelli e altri, di “Modifica all’articolo 114 della Costituzione, in materia di ordinamento e poteri della Città di Roma, capitale della Repubblica”. È tempo che Governo e Parlamento riprendano il confronto sul tema, e trovino, attraverso una discussione cui diano apporti tutte le forze politiche, utili punti di convergenza.

Per Venezia, occorrerebbe non meno che una nuova Legge speciale. Che muovesse dallo spirito di quella del 1973, e avesse la capacità e l’ambizione – oltre 50 anni dopo – di offrirne una lettura più avanzata, traghettando la città nel miglior futuro possibile. Auspicabile? No, essenziale.

Differenziazioni territoriali e città speciali. Il caso di Roma e Venezia secondo Atelli

Roma e Venezia richiedono, oggi, nuovi paradigmi. Uno scatto in avanti per superare la logica ormai logora che punta tutto, in fondo, sulla pazienza dei romani e su rifinanziamenti inerziali per Venezia. Questa è la (non) visione di sempre, ma adesso ne occorre, con urgenza, una vera, ispirata da un senso – pieno e avvolgente – di contemporaneità. L’intervento di Massimiliano Atelli

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