La dimensione underwater potrebbe davvero diventare un nuovo dominio militare e i Paesi europei si stanno adoperando per sviluppare capacità adeguate. Mentre le nostre infrastrutture critiche sottomarine (gasdotti, cavi di telecomunicazioni) sono già esposte a sabotaggi – di Russia e la Cina, ma pure di attori non statali – dobbiamo sviluppare le tecnologie necessarie, mentre, nel frattempo, ce la caviamo con quello che già abbiamo. A maggio, la Nato aveva già sviluppato un gruppo di coordinamento per le infrastrutture sottomarine, basato al comando marittimo dell’Alleanza a Northwood, vicino Londra. L’ambizione è sviluppare insieme un enorme sistema di allerta, che usi sensori di varia natura, analisi dei dati computerizzata e intelligenza artificiale. Il Nato Maritime centre for security of critical undersea infrastructure ha già raggiunto la initial operational capability, ma è ancora agli inizi. Le nazioni che vi partecipano sono Danimarca, Germania, Norvegia, Polonia, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti, con Grecia, Portogallo e Svezia che si uniranno a breve. La Norvegia sembra essere il Paese più all’avanguardia nell’Europa settentrionale, e gli altri?
Regno Unito
Per Londra si può fare fede allo studio pubblicato dall’International institute for strategic studies (Iiss). Dal lungo-Tamigi, l’immagine che dipingono Luois Bearn e Jonathan Bentham non è delle migliori: “La Royal navy sta avendo difficoltà per portare le sue nuove navi-simbolo per la guerra sottomarina allo stato operativo”. Per quanto la Marina di Sua Maestà abbia provato a porsi all’avanguardia, due dei nuovi progetti chiave stanno avendo problemi, tecnici e di personale, anche in virtù dei tagli al bilancio. Si tratta del Proteus, che dovrebbe essere la nave madre per droni sottomarini, e la Stirling Castle, un nuovo cacciamine. Insomma, anche se “i nuovi sistemi alla fine arriveranno”, anche se “la nuova Strategic defence review potrebbe impattare i piani”, le ambizioni del Regno Unito sembrano, come spesso accade, superiori ai suoi mezzi.
Bene tenere a mente anche la visione d’insieme britannica. Per loro, i problemi domestici sono lo specchio delle Marine d’Europa e, soprattutto, di quella del Nord: “Dal 2014, vi è stato un calo del 13% nel numero totale di navi europee di ricerca e sorveglianza”, ma “mentre il numero di queste piattaforme in Paesi mediterranei è rimasto costante dal 2014, i Paesi europei che si affacciano sul mare del Nord, il Baltico e l’Artico hanno esperito un calo del 25” (dati di Military Balance+). Tanto più grave poiché Bearn e Bentham identificano proprio nelle acque nordiche l’epicentro del conflitto sottomarino.
Francia
Effettivamente, infatti, anche l’underwater francese vive una realtà sub-ottimale, per quanto migliore dei cugini d’oltre-Canale. Questo quanto emerge dal bilancio che Mer et Marine fa a due anni dalla pubblicazione della Strategia ministeriale per la guerra sottomarina, in occasione del cambio al vertice dell’appositamente creata Forza d’azione navale. Questa strategia è sì arrivata ben prima che il resto del mondo si svegliasse, ma non intende prevalentemente l’underwater in chiave di infrastrutture critiche, ma di mine navali.
Il progetto principe, è, infatti il Bgdm, ossia Bâtiment de guerre des mines (letteralmente, Nave da guerra delle mine), che, inizialmente previsto per il 2023, non è stato ancora consegnato (se ne prospettano sei, per sostituire gli undici vecchi cacciamine messi in servizio tra Anni Ottanta e Novanta, di cui solo otto sono ancora operativi). Similmente, si aspettano per il 2025 pure i quattro Mclm (Module de lutte contre les mines, Moduli di lotta contro le mine), ossia un “sistema di sistemi” comprendente due droni di superficie (l’uno operante un sonar per l’identificazione delle mine e l’altro un robot in grado di neutralizzarle) e altri droni sottomarini. Il punto è che “la Marina deve anche, al tempo stesso, fare i conti, come le altre amministrazioni, con l’instabilità politica del momento e i limiti del budget”.
Germania
Anche la Germania ha scoperto a caro prezzo l’importanza del (forse) dominio sottomarino. Gli attacchi contro i gasdotti Nord stream 1 e 2 hanno letteralmente tranciato il collegamento che Berlino aveva, faticosamente, stabilito con Mosca per l’approvvigionamento energetico, provando fattualmente l’estrema vulnerabilità delle infrastrutture critiche sottomarine. Tuttavia, la sorpresa iniziale ha lasciato spazio per una più profonda riflessione sull’importanza di una maggiore situational awareness nei fondali marittimi, e la Germania non ha tardato a registrare importanti iniziative nell’ambito.
Lo stimolo principale viene dal ministero federale per il digitale e i trasporti, il quale ha finanziato, con 3,5 milioni di euro, il progetto Argus di north.io. Argus è un progetto che unisce l’utilizzo di big data e tecnologie di intelligenza artificiale per innalzare il grado di sicurezza delle infrastrutture sottomarine. Sotto il coordinamento di north.io, e mediante il supporto del Geomar Helmholtz centre for ocean research di Kiel e del Subsea Europe Services, il progetto, che durerà due anni, costituirà il primo passo verso una rivoluzione nel campo della sorveglianza e salvaguardia delle infrastrutture critiche sottomarine. Palese, quindi, che le ambizioni tedesche in questo campo siano assai inferiori a quelle britanniche, francesi o italiane.
Il punto sull’Italia
Anche il nostro Paese, infatti, si è lanciato nella corsa subacquea, con la creazione del Polo nazionale della dimensione subacquea (Pns) il 12 dicembre 2023. L’ambizione è che il Polo di La Spezia possa fungere da accentratore per tutto il subacqueo italiano, mettendo insieme i vertici militari, ministeriali (e di ministeri diversi), industriali e universitari. Come sottolineato da Carlo Festucci all’evento di maggio “Il concorso del Pns nel perseguimento della sovranità tecnologica e della competitività industriale”, grazie alla nostra filiera e alla strategicità delle nostre mosse (ci siamo comunque mossi in tempo e, contrariamente a quanto fatto da britannici o statunitensi, per dire, ci concentriamo sul monitoraggio dei fondali e delle acque litoranee, non sui super-sottomarini nucleari) “abbiamo le carte in regola per essere i primi, non in Europa, nel mondo”. D’altra parte, la verità alla quale tutte le altre devono chinarsi è che servono soldi, e “devono arrivare subito”: a una priorità strategica, come lo è la subacquea per l’Italia, debba accompagnarsi uno sforzo strategico, perché “se alla fine dell’anno non avremmo trovato l’ossigeno che serve (50 milioni di euro, nda) non staremo vincendo la scommessa”.
A questo proposito, non possiamo che augurarci che governo e Parlamento proseguano celermente non solo per trovare questi fondi (e, idealmente, altri ancora), ma anche per produrre un documento legislativo che regoli il panorama e possa fare da bussola strategica, un po’ sulla falsa riga di quanto fatto per lo spazio. Da molto, infatti, si menziona una Legge quadro sul mare, all’interno della quale sezioni apposite verrebbero dedicate alla subacquea, e, ancor meglio, direttamente di una legge quadro sulla dimensione subacquea.