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Forse perché quest’anno tarda a ripetersi il miracolo tutto italiano del ritorno dell’ottimismo stagionale estivo, la Conferenza su Sviluppo e Migrazioni organizzata dal Governo ha suscitato poco dibattito nelle istituzioni e ancora meno entusiasmo in un’opinione pubblica distratta da eventi atmosferici estremi.

Tenutosi a Roma il 23 luglio, l’evento internazionale è scivolato nel pastone delle cronache italiane che, tra rituali proclami governativi e critiche dell’opposizione, non hanno chiarito la sua reale portata. Al netto di giudizi euforici o catastrofisti di ispirazione politica, la conferenza è stata un successo in politica estera e un passo in avanti nell’approccio alla spinosa questione dell’immigrazione. Come pure ha risvegliato antichi timori sulla reale efficacia, sostenibilità e trasparenza degli ingenti programmi di aiuto prospettati per il futuro.

Governare (politiche) vs Gestire (l’emergenza) 

La conferenza ha segnato una vera svolta, inaugurando un percorso noto e da tempo caldeggiato dagli esperti che tuttavia nessun Governo in precedenza ha intrapreso; al solito, per motivi puramente politici, diluiti in molta retorica. L’immigrazione in Italia da decenni è trattato come problema di sicurezza interna di competenza del Ministero dell’Interno e non (anche) di relazioni internazionali, da affrontare con politiche integrate degli esteri, della difesa, dell’intelligence, della cooperazione a monte con i paesi di provenienza dei migranti.

Nel paese dove le soluzioni temporanee diventano istituzioni, il “gestire l’emergenza permanente” dell’immigrazione piuttosto che il governarla è tornato più comodo a tutti. Politicamente, a quanti la sostengono oppure osteggiano ideologicamente, garantendo loro facili rendite di posizione; economicamente, a quanti gestiscono i 4 miliardi all’anno spesi per l’ “accoglienza-precaria” e si disinteressano dell’integrazione (che rende molto di meno).

Con il paradosso nostrano del migrante irregolare accudito più ad un giorno che ad un anno dal suo arrivo. Anche se si restasse solo a livello delle dichiarazioni, passare dall’ “emergenza migranti” a “migrazione e sviluppo” avrebbe comunque rotto un tabù su temi talmente appesantiti da decenni di retoriche contrapposte di destra e di sinistra – da richiedere una rivoluzione culturale per uscire dall’incartamento sulla questione dell’immigrazione.

Primatus politicae (esterae)

Altro dato oggettivo è che la massiccia presenza a Roma di leader dei paesi coinvolti nei processi migratori così come della Commissione Europea con Ursula Von der Leyen è un indiscutibile risultato della diplomazia italiana. Tecnico, perché è complesso organizzare un summit mentre il riassetto degli equilibri internazionali passa soprattutto per l’Africa e Bruxelles è concentrata più sulle emergenze ad Est che al Sud dell’Europa.

Politico, perché rimette Roma in asse con un tradizionale protagonismo nell’area Euro-Mediterranea, duramente colpito dopo la crisi libica seguita all’intervento a trazione franco-britannica del 2011. Proprio a causa di quest’ultima circostanza, non convincono le critiche rivolte all’Italia per non avere “coinvolto” la Francia nell’evento romano. Come ricorda il Niger in queste ore, la politica estera francese ha avuto da decenni in Africa un ruolo profondamente divisivo che ha riguardato molti dei paesi presenti alla conferenza. Dato il suo forte peso internazionale, un coinvolgimento di Parigi avrebbe significato farne un co-organizzatore dell’evento, compromettendo il messaggio della volontà di un re-set dell’esistente quadro dei rapporti diplomatici con l’Africa (sul quale, per inciso, non è ancora chiaro l’orientamento francese).

Madam Prime Minister

A differenza di altri eventi organizzati dalla Farnesina (come l’appuntamento annuale del Med), dalla conferenza esce rafforzata a livello internazionale la figura di Giorgia Meloni come Presidente del Consiglio e di Antonio Tajani come Ministro degli Affari Esteri. È un aspetto tutt’altro che scontato in un paese dove Governo (politico) e potere (amministrativo) raramente coincidono – in particolare nell’universo parallelo della diplomazia. Può piacere o meno, ma il tandem Meloni-Tajani oltre confine si completa e funziona bene, meglio di quanto previsto da analisi tratte in inganno dal leggere la politica estera dalla sola prospettiva romana.

In un paese dove il binomio “esperienza politica + competenze linguistiche” resta una rarità, si sottovaluta quanto sia importante per la Meloni negli incontri internazionali il conoscere i trucchi della politica frutto di una lunga gavetta di partito e il padroneggiare l’inglese a sufficienza da poterli usare in prima persona. Tajani invece continua a essere giudicato per il ruolo in Forza Italia, dimenticando la formidabile rete di rapporti personali sviluppati a livello globale negli anni a Bruxelles come vicepresidente della Commissione Europea e poi presidente del Parlamento Europeo.

In combinata, nelle relazioni internazionali il duo Meloni-Tajani ha dei parametri oggettivi che lo rendono competitivo rispetto agli omologhi degli ultimi governi (dal Letta-Bonino al Gentiloni-Alfano; dal Conte-Di Maio fino allo stesso Draghi-Di Maio).

Aiutiamoli vs aiutiamoci (a casa loro)

I principali dubbi riguardano il modo in cui verranno reperite, gestite e messe in pratica le ingentissime risorse finanziarie dei programmi di aiuto annunciati dalla Conferenza. Alcuni slogan e rituali di questi giorni sono mutuati da un passato tutt’altro che glorioso della Cooperazione allo Sviluppo europea (ed italiana) in africa che negli anni 60-80 ha scritto alcune delle pagine più oscure di inefficienza, inefficacia e corruzione della Storia degli Aiuti Internazionali.

L’ “aiutiamoli a casa loro” che prometteva sviluppo al Terzo Mondo ha preceduto di decenni le attuali crisi migratorie, che sono anzi state amplificate proprio dal fallimento di quegli interventi massicci. Riproporne modelli e attori minaccia un ritorno ad un futuro già visto, con l’aggravante che oggi fallire nello sviluppo vuol dire peggiorare una crisi migratoria che è già in corso. Probabilmente ne è consapevole sia il Governo italiano che europeo.

Molto meno i numerosi lobbisti che alla conferenza sulla migrazione (come a quella per la ricostruzione dell’Ucraina) si aggiravano a latere dei lavori cercando di capire come posizionarsi per aggiudicarsi il finanziamento dei progetti di aiuto in arrivo. Dove l’interesse principale sta nella gestione dell’aiuto. Che poi serva alla “pace” o allo “sviluppo”, poco importa.

Dall'emergenza al governo dell'immigrazione. Scrive Pellicciari

La massiccia presenza a Roma di leader è un indiscutibile risultato della diplomazia italiana. Tecnico, perché è complesso organizzare un summit mentre il riassetto degli equilibri internazionali passa soprattutto per l’Africa e Bruxelles è concentrata più sulle emergenze ad Est che al Sud dell’Europa. Politico, perché rimette Roma in asse con un tradizionale protagonismo nell’area Euro-Mediterranea. E il duo Meloni-Tajani… L’analisi di Igor Pellicciari, ordinario di Storia delle Istituzioni e Relazioni Internazionali, Università di Urbino

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