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“Khartoum, la capitale del Sudan, è ricordata in Israele come la città in cui i Paesi arabi decisero gli storici ‘tre no’: niente pace con Israele, niente negoziati con Israele e niente riconoscimento di Israele”, ha detto il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, durante quella che viene definita come una “storica visita diplomatica” in Sudan, “parte del percorso per siglare un accordo di pace a Washington. Adesso, ha continuato, “con i sudanesi stiamo costruendo una nuova realtà, in cui i ‘tre no’ diventeranno i ‘tre sì’: sì ai negoziati tra Israele e Sudan, sì al riconoscimento di Israele e sì alla pace tra gli Stati e tra i popoli”.

Quella di oggi, giovedì 2 febbraio, è la prima visita di questo tipo da parte di un alto diplomatico israeliano, in vista della firma degli Accordi di Abraham con i leader militari del Paese. Cohen ha incontrato il capo militare del Sudan, il generale Abdul Fattah al-Burhan, e altri esponenti della leadership locale. Nel corso degli anni il Sudan, Paese a maggioranza musulmana con una popolazione di 48 milioni di abitanti, ha sostenuto le posizioni palestinesi, è stato vicino all’Iran, ha ospitato Al-Qaeda ed è stato considerato uno Stato nemico di Israele.

Ma quando il regime di Omar Bashir è stato rovesciato da un colpo di Stato militare nel 2019, il governo di transizione di Khartoum ha mostrato segni di interesse per un riavvicinamento a Gerusalemme – anche sotto la spinta di Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti, motori degli accordi di normalizzazione delle relazioni tra Israele e il mondo arabo. Ci sono state varie notizie non confermate di visite reciproche discrete da parte di delegazioni diplomatiche e di sicurezza.

Quello col Sudan è un avvicinamento che dimostra però come lo scopo degli Accordi di Abramo non sia semplicemente la costruzione delle relazioni arabo-israeliane, ma dietro ci siano obiettivi di carattere geopolitico più ampio. Nello specifico, Israele ha interesse ad approfondire la propria presenza in Africa, come racconta un’altra storica visita di questi giorni: quella del presidente ad interim ciadiano, Mahamat Idriss Déby, a Gerusalemme. D’altronde sono in corso da tempo.

Nel febbraio 2020, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha incontrato segretamente in Uganda al Burhan. Il giorno successivo all’incontro, il premier israeliano aveva annunciato pubblicamente che i due Paesi avevano concordato di lavorare insieme per normalizzare i rapporti. Nel gennaio 2021, il Sudan ha firmato la sezione dichiarativa degli Accordi di Abraham davanti all’allora segretario al Tesoro statunitense, Steven Mnuchin. Ai tempi non era stato firmato il documento parallelo con Israele.

Sia in Sudan che in Ciad, il Mossad e le altre agenzie di sicurezza israeliane sono state coinvolte in modo significativo nello stabilire i contatti bilaterali che hanno portato alla normalizzazione muovendosi anche per interessi diretti, che vanno dal contenimento del ruolo dell’Iran nel Sahel (mosso, secondo gli israeliani, tramite le attività del gruppo terroristico libanese Hezbollah) al controllo dei gruppi jihadisti attivi nella regione.

Pochi giorni dopo la firma con Mnuchin, il ministro dell’Intelligence israeliano, che ai tempi era proprio Eli Cohen, aveva guidato nel Paese africano una delegazione di businessman e funzionari della sicurezza, diventando il primo ministro israeliano in assoluto a visitare ufficialmente il Sudan. Il nuovo direttore del ministero degli Esteri israeliano, Ronen Levy, ex Shin Bet, era stato una persona chiave nei contatti con il Sudan nella sua precedente posizione nel Consiglio di Sicurezza Nazionale. Levy ha accompagnato Cohen anche nella visita odierna.

Il Sudan è un Paese strategicamente importante per Israele. Situato sulle rive del Mar Rosso, tra Egitto ed Eritrea, controlla le rotte marittime del Mar Rosso (posizione che fa gola a tanti, per primo alla Russia che vorrebbe costruire a Port Sudan una base militare). È il terzo Paese più grande dell’Africa (con una superficie di 1,8 milioni di chilometri quadrati) con una popolazione di circa 47 milioni di abitanti. Inoltre, confina con l’Etiopia, uno dei più importanti alleati di Israele nel continente africano. In passato il Sudan ha combattuto a fianco dei Paesi arabi nella Guerra d’Indipendenza e nella Guerra dei Sei Giorni, ha assistito al trasferimento di armi ad Hamas e ha ospitato la Conferenza di Khartoum della Lega Araba del 1968, che ha portato alla Risoluzione di Khartoum, e agli storici “Tre No” promessi dai Paesi arabi.

“L’instaurazione di relazioni con il Sudan pone fine a 75 anni di ostilità!”, spiega il ministero degli Esteri israeliano. Nel corso degli anni sono stati segnalati anche forti legami militari tra Khartoum e Teheran e nel 1993 gli Stati Uniti hanno etichettato il Sudan come Stato sponsor del terrorismo. Negli ultimi anni, le relazioni tra Khartoum e Teheran si sono degradate e il riavvicinamento con Gerusalemme è diventato possibile. Nel dicembre 2020, prima della firma degli Accordi di Abramo, gli Stati Uniti hanno rimosso il nuovo regime sudanese dalla lista terroristica.

“La visita odierna in Sudan – ha detto Cohen – pone le basi per uno storico accordo di pace con un Paese arabo e musulmano strategico”. L’accordo di pace tra Israele e Sudan, previsto “nel giro di pochi mesi, a Washington” secondo quanto riferiscono le fonti israeliane, “promuoverà la stabilità regionale e contribuirà alla sicurezza nazionale dello Stato di Israele”. “La firma dell’accordo di pace – ha dichiarato il ministro – sarà un’opportunità per stabilire relazioni con altri Paesi dell’Africa e per rafforzare i legami esistenti con i Paesi africani. Le relazioni dei Paesi africani con Israele sono un interesse comune sia per noi che per i Paesi del continente. Israele è stato per molti anni un partner importante nei processi di sviluppo di questi Paesi e nell’affrontare le conseguenze del cambiamento climatico e le sfide economiche dell’Africa”.

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