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In una delle sue prime dichiarazioni il nuovo Papa della cristianità ha fatto esplicita menzione dell’Intelligenza Artificiale spiegando che in un’epoca di sconvolgente progresso, indotto tra l’altro da questa tecnologia, si richiamava a Leone XIII, che ai suoi tempi aveva affrontato una svolta epocale nella società. Effettivamente la modernità di questo secolo è segnata dal carattere trasformativo dell’IA e dalle paure ed entusiasmi che ha suscitato nella popolazione. Ne parlano continuamente i media, ne dibattono opinionisti e prelati, ne impongono regole le autorità europee e hanno iniziato a farne uso imprese e cittadini. Le voci ed opinioni si rincorrono, ma non tutti sono consapevoli delle ragioni di fondo del suo potenziale.

In breve, si pone come una tecnologia multifunzione, ossia ad ampio spettro di applicazione, accessibile a tutti, che esalta alcune capacità umane e ne rimpiazza altre, mostrandosi in grado di offrire soluzioni a compiti ripetitivi o a problemi complessi, con un livello di autonomia decisionale ampio quanto le modalità, vastità e qualità del suo addestramento. In queste dimensioni sta alla pari per impatto con l’introduzione dell’elettricità e di internet, con la differenza di caratterizzarsi per una velocità di avanzamento e diffusione molto più rapida che nel passato. Le trasformazioni che comporta nella società, nelle scienze e nell’economia obbligano a riconfigurare i cardini del nostro vivere sociale e a superare le evidenti resistenze al cambiamento.

Nelle sue diverse declinazioni, e soprattutto nel tipo “generativo”, l’IA mostra di essere pervasiva in tutte le applicazioni, in continua evoluzione e capace di generare nuovi sviluppi nella ricerca, nell’innovazione, nella creatività e nell’avanzamento delle scienze. L’effetto di maggior rilevanza per le imprese è individuato dagli esperti nell’impulso che imprime alla produttività e all’imprenditorialità. Nelle verifiche sperimentali, condotte in un ambiente selezionato, queste ipotesi trovano conferma, ma l’esperienza della sua pratica tra le imprese, pur non smentendo questi risultati, ci presenta una realtà più variegata e con tendenze discordanti rispetto alle attese. Lo testimonia la miriade di studi compiuti che ha iniziato a formare una corposa letteratura con conclusioni non sempre convergenti.

In particolare, sul piano della produttività i vantaggi dell’automazione dei compiti di lavoro attraverso i modelli di IA sono maggiori per i lavoratori con minori competenze, laddove quelli con più esperienza e formazione sono più capaci di utilizzare efficacemente ed integrare questa tecnologia nelle loro prestazioni. Per questi secondi i benefici non sono così grandi come per i primi, ma diventano consistenti soprattutto nel trovare soluzioni a problemi a cui sono stati esposti meno frequentemente. In generale, quanto più frequente il soggetto si allinea alle indicazioni fornite dall’IA tanto maggiore è la sua produttività e implicitamente la sua competenza, insieme alla fiducia nell’algoritmo per svolgere lavori sempre più impegnativi. Si determina un circolo virtuoso secondo cui l’operatore riceve supporto dall’IA nella sua prestazione e al tempo stesso migliora la sua formazione ed esperienza per lo svolgimento di futuri compiti.

Perché migliorino produttività ed apprendimento sono necessarie una stretta integrazione dell’IA nell’esecuzione del lavoro, e di riflesso una ristrutturazione dell’organizzazione del lavoro e dello stesso funzionamento dell’azienda. Emerge chiaramente che i risultati migliori si ottengono mediante la complementarità tra intervento dell’operatore e l’assistenza di questa tecnologia, piuttosto che attraverso la sostituzione dell’uno con l’altra. Lo studio di un caso di impresa, ad esempio, ha mostrato un incremento di produttività del 15% nell’assistenza ai clienti.

Non mancano tuttavia le controindicazioni. Laddove il supporto dell’IA facilita l’apprendimento dei meno competenti, si riducono le disparità di rendimento tra lavoratori e di seguito la disponibilità dell’impresa a remunerare maggiormente i più competenti. Analogamente, se l’apprendimento attraverso l’IA è reso più agevole per i meno competenti e ne incrementa la produttività più che per gli altri, l’impresa potrebbe essere tentata di reindirizzare la sua domanda di lavoro per certi compiti verso i meno addestrati a scapito dei più preparati. Spostamenti nell’allocazione del lavoro tra diverse classi di competenze non sarebbero da escludere. L’eccessiva fiducia sulle indicazioni date dall’IA ha, inoltre, inconveniente di ridurre l’impegno dell’operatore nel valutarle, o di smorzarne il suo vaglio critico, nonché il suo spirito d’iniziativa creativa.

Complessivamente, si può affermare che questa tecnologia ha effetti differenti a seconda di chi la utilizza, del modo in cui si avvale del suo supporto, dello stimolo a consolidare le sue conoscenze per il futuro, del contesto aziendale in cui opera e della dimensione temporale in cui è applicata. Gli incrementi di produttività rilevati a livello d’impresa non sono quindi generalizzabili, anche perché non si dispone di una ricca base di esperienze, né per un periodo sufficiente. Ad esempio, l’impresa potrebbe continuare a investire in algoritmi con capacità sempre più avanzate e di conseguenza riconfigurare le sue forze di lavoro. Pertanto, l’incremento di produttività che può essere acquisito in un orizzonte breve potrebbe essere superato nel medio termine e rimettere in gioco le competenze accumulate dal lavoratore.

Effetti positivi dell’IA si riscontrano anche nel generare nuove idee, nell’accelerare la definizione ed attuazione di progetti di ricerca e di innovazione, e nello sviluppare nuovi prodotti, servizi ed altre tecnologie. Anche in queste funzioni valgono le controindicazioni rilevate nel campo della produttività e i migliori risultati si ottengono nella complementarietà tra intervento umano e contributo dell’IA. I suoi benefici si estendono alla demografia delle imprese, in quanto contribuisce a facilitare l’ingresso di nuovi imprenditori sul mercato attraverso diversi canali. Rende più agevole assolvere gli obblighi per ottenere le consuete autorizzazioni amministrative, riduce i tempi per l’introduzione di nuovi prodotti, snellisce la gestione aziendale e concorre all’efficienza operativa e nell’impiego delle risorse. Facilita altresì per le piccole imprese la ricerca e il reperimento dei finanziamenti nelle prime fasi di crescita. Al pari che nelle altre funzioni i fattori determinanti e discriminanti tra successo ed insuccesso sono il modo in cui l’imprenditore si avvale dell’IA e il contesto in cui la applica.

L’insieme di questi elementi rende cruciale per un paese avanzato impegnarsi nel promuovere al massimo la diffusione di questa tecnologia, agendo su entrambi i lati, le condizioni per la sua realizzazione e quelle per espandere la domanda di applicazione da parte dei soggetti. Sotto il primo aspetto, va costruito un ecosistema in cui il disegno di modelli di IA sia possibile, addestrabile con gli input di dati essenziali e migliorabile. Costituiscono parti essenziali del sistema, che ne formano la catena del valore, le infrastrutture, composte da hardware, capacità di calcolo e cloud, la disponibilità di una massa di dati rilevanti, le competenze per costruire il modello di algoritmo, la sua verifica e la sua applicazione.

In ciascuna di queste fasi si ergono non pochi ostacoli che finiscono con il ritardare la diffusione dell’uso. Le tendenze in atto, in specie, mostrano che viene impiegata più frequentemente tra le grandi imprese, che investono maggiormente in infrastrutture e competenze, nonché nelle giovani imprese innovative e ad alta produttività. Le applicazioni più intense avvengono nei settori dei Media, delle ICT, della finanza e dei servizi professionali e scientifici, mentre l’adozione negli altri settori risulta relativamente scarsa.

Sulla domanda di applicazioni pesano la carenza di conoscenze e lo scarso attivismo dei soggetti pubblici nel promuoverle attraverso la società e anche nell’intensificare l’adozione dell’IA nei campi dell’istruzione, formazione, sanità e in genere nella gestione dei servizi pubblici. Parte di questo atteggiamento si potrebbe ricondurre alla difficoltà di stabilire in che settore intervenire in via prioritaria e con quali mezzi di fronte a una tecnologia che presenta grandi opportunità ed importanti rischi. I paesi dell’Ue hanno scelto di iniziare senza indugi a stabilire un quadro regolatorio, che potrebbe scoraggiare la sperimentazione e il potenziamento dell’IA, con la conseguenza di accentuare lo svantaggio rispetto agli Usa che propendono per l’autoregolamentazione delle imprese.

L’Italia si è adeguata alle norme dell’Ue ed è andata oltre definendo un assetto istituzionale per le autorità di settore, ossia l’AgID e l’Acn, con compiti di diffusione, vigilanza e controllo. Ha anche delineato una strategia nazionale che tocca i diversi aspetti accennati e si concentra prioritariamente su quattro macroaree e alcuni comparti al loro interno.

Quanto questa strategia sia efficace si vedrà dai risultati della sua attuazione, che è appena al primo anno. La sfida di diffondere questa tecnologia su vasta scala a tutto il Paese è notevole se si guarda la realtà delle cifre sulla situazione attuale. L’ultima rilevazione dell’Istat delinea un quadro nel contempo di ritardi rispetto ai partner dell’Ue e di passi in avanti per colmarli. Tra le pmi la quota di quelle che adottano l’IA è salita all’8% l’anno scorso, laddove circa un terzo delle grandi ne fanno già uso nei processi aziendali. Le distanze tra imprese di differente dimensione nell’applicarla sono consistenti e differiscono per settore economico e tipo di applicazione. Si evidenzia già una divaricazione tra la classe delle maggiori imprese e quelle delle minori, con la prospettiva di una divisione persistente che farebbe da freno allo sviluppo economico del Paese.

L’uso dell’IA generativa è la modalità in più rapido aumento anche tra le medie imprese, in specie per automatizzare i processi e migliorare la comunicazione. Le altre modalità, tuttavia, prevalgono in termini di quote di imprese che le applicano, con in testa le funzioni di marketing e vendita, la gestione dei processi aziendali e a seguire l’innovazione e ricerca. Si conferma la presenza di una relazione tra produttività del lavoro ed adozione di tecnologie di IA: tra le aziende più produttive la quota delle utilizzatrici dell’IA fa un balzo molto più rapido che tra le meno produttive. Per progredire in questo percorso di digitalizzazione, la maggioranza delle imprese mette in primo piano la disponibilità di aiuti finanziari dai soggetti pubblici, a cui seguono per importanza gli investimenti nella formazione delle competenze e l’esistenza di infrastrutture adeguate.

Gli italiani, da parte loro, si avviano lentamente a utilizzare questa tecnologia e con grandi timori verso le applicazioni che possono spiazzare il lavoro. Secondo l’indagine dell’Osservatorio del Polimi, un quarto ha fatto esperienza della IA generativa, ma la maggioranza la teme per i rischi che comporta. Probabilmente un’adeguata formazione sul come impiegarla per trarne beneficio e migliorare la propria attività potrebbe mutare queste resistenze. Il soggetto pubblico è chiamato, pertanto, a intervenire proprio in questo ambito, e non semplicemente a imporre regole. Una politica di informazione del grande pubblico e di investimenti nell’insegnamento sin dalla scuola secondaria e nella formazione delle competenze specialistiche permetterebbe al Paese di compiere quel salto tecnologico di innovazione e produttività che è alla radice di ogni sviluppo economico.

Come accelerare l'uso dell'Intelligenza artificiale. L'idea di Zecchini

Una politica di informazione del grande pubblico e di investimenti nell’insegnamento dell’Intelligenza Artificiale, sin dalla scuola secondaria e nella formazione delle competenze specialistiche, permetterebbe al Paese di compiere quel salto tecnologico di innovazione e produttività che è alla radice di ogni sviluppo economico. L’analisi di Salvatore Zecchini, economista dell’Ocse

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