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Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, è stato ricevuto con tutti gli onori di un leader globale a Jeddah, dove ad attenderlo c’era l’erede al trono e primo ministro saudita, Mohammed bin Salman. Dalla chiacchierata al palazzo reale Al Salam, i due sono usciti a bordo di un Pamukkale bianco, primo Suv elettrico prodotto dalla turca Togg che il presidente ha donato al sovrano saudita (il quale lo ha usato per accompagnarlo in hotel).

Il viaggio è pieno di simboli, e il Pamukkale è già uno di questi, immagine di come la capacità industriale turca può essere un moltiplicatore di forza per i regni del Golfo, proiettati verso un futuro di transizione energetica e dunque economica. La Turchia di Erdogan fino a una paio di anni fa era un Paese ostile all’Arabia Saudita, a cui intendeva contendere la leadership del mondo musulmano. Ankara è guidata dalla visione dell’Islam politico interpretata dalla Fratellanza musulmana, organizzazione islamista considerata un’entità terroristica a Riad e altrove nel Golfo. La repubblica turca intende da sempre essere centro di gravità per i musulmani, creandosi un ruolo alternativo al protettore dei luoghi sacri, il regno Saudita.

Nonostante queste distanze siderali siano tutte ancora sul tavolo, e dopo averle sfogate in dossier complessi come la crisi militare in Libia, Ankara e Riad (e Abu Dhabi) hanno intrapreso una fase di détente. La distensione ha senso puramente tattico ed è frutto di una generale consapevolezza: meglio cercare punti in comune che tentare di esacerbare le divisioni e combattersi. Anche perché l’Arabia Saudita ha compreso di non essere, almeno per ora, una potenza in grado di esercitare una deterrenza strategica; mentre la Turchia vive una fase economica pessima.

Narrazioni e interessi

L’una ha in qualche modo bisogno dell’altra, entrambe sono interessate a sfruttare le nuove opportunità che questa stagione orientata verso la multipolarità può offrire. Nutro “grandi speranze” per gli investimenti e la finanza ha detto Erdogan quando è partito, lunedì, per un viaggio in cui dopo l’Arabia Saudita passerà anche per Qatar — storico alleati ideologico — ed Emirati Arabi Uniti. Questi ultimi sono ex nemici giurati con cui ha ricucito gli strappi più superficiali. Il presidente turco sa che il suo Paese deve cercare di alleviare le tensioni di bilancio, l’inflazione cronica e l’indebolimento della valuta. Per questo accetta compromessi.

Dal 2021, quando Ankara ha lanciato uno sforzo diplomatico per riparare i legami con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, gli investimenti e i finanziamenti provenienti dal Golfo hanno contribuito ad alleviare la pressione sull’economia e sulla riserva di valuta forte della Turchia. I contatti sono stati intensi in questi due anni. Il mese scorso, per esempio, il vicepresidente turco Cevdet Yilmaz e il ministro delle Finanze Mehmet Simsek si sono recati negli Emirati Arabi Uniti per discutere di “opportunità di cooperazione economica” con le controparti e hanno incontrato il presidente emiratino, Mohammed bin Zayed — che a sua volta aveva ospitato Erdogan lo scorso anno.

Cosa cerca Erdogan (e cosa trova)

Vale la pena sottolineare che Erdogan ha nominato Yilmaz e Simsek dopo le elezioni, in parte per eseguire un’inversione di rotta dopo anni di politica economica non ortodossa che ha portato l’inflazione alle stelle e le riserve estere nette a un minimo storico a maggio. Il deficit di bilancio della Turchia è salito a 8,37 miliardi di dollari nel mese di giugno, sette volte il deficit dell’anno precedente, come hanno mostrato i dati di lunedì. L’inflazione annuale ha sfiorato il 40% a giugno, mentre la lira si è indebolita di quasi il 29% quest’anno.

In questo clima gli investimenti dal Golfo sono più che benvenuti. La regione d’altronde sta vivendo una fase economica particolarmente rosea dopo lo scombussolamento del mercato energetico prodotto dall’invasione russa dell’Ucraina. E con il veicolo economico-finanziario-commerciale, Paesi come l’Arabia Saudita o gli Emirati riescono in qualche modo a comprare un rinnovato allineamento turco, ossia di un Paese che ha capacità strategica e volontà di proiezione internazionale.

Erdogan ha recentemente incassato svariati consensi occidentali dopo aver aperto le porte della Nato all’ingresso svedese. Questa rinnovata considerazione del turco sul palcoscenico internazionale è interessante per i partner di Ankara nel Golfo, che trovano in lui un leader globale, capace di parlare con la Russia e con la Nato, intenzionato a mediare su situazioni delicate come l’accordo per il grano ucraino — le cui dinamiche interessano parte della sfera di influenza saudita ed emiratina.

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