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L’amministrazione di Luiz Inácio Lula da Silva cerca un difficile equilibrio tra potenze globali in competizione, consapevole del ruolo assunto ormai dal Brasile, tra Brics, leadership sudamericana, standing internazionale: tutto riassunto nel ruolo di ospite del G20, che attira riflettori globali. Il consigliere per la politica estera di Lula, Celso Amorim — spesso visto come il vero motore della strategia internazionale brasiliana — ha per esempio rilasciato recentemente dichiarazioni contraddittorie riguardo alla Belt and Road Initiative (Bri), l’infrastruttura geopolitica che fa guida alla proiezione internazionale di Xi Jinping. Parlando con il giornale O Globo, Amorim ha inizialmente espresso dubbi su un pieno allineamento del Brasile alla Bri, salvo poi mostrarsi aperto all’idea in una pubblicazione minore. Queste affermazioni discordanti riflettono l’attuale equilibrismo del Brasile, in un momento in cui Brasilia ambisce a un ruolo geopolitico più significativo.

Equilibrio e ambizione che si ritrova nella “call-to-action” brasiliana fatta in vista del G20, in cui la presidenza Lula chiede una  riforma della governance globale, un’iniziativa che ha già raccolto il sostegno di 32 Paesi oltre ai membri del Gruppo dei Venti. Il documento, frutto di un consenso unanime durante l’incontro dei ministri degli Esteri, propone interventi su tre ambiti cruciali. Per le Nazioni Unite, il Brasile suggerisce di rafforzare il ruolo dell’Assemblea Generale nelle questioni di pace e sicurezza internazionale, ampliando la rappresentanza dei Paesi di Africa, Indo-Pacifico, America Latina e Caraibi. Nel settore finanziario internazionale, il documento punta a incrementare i fondi destinati ai Paesi in via di sviluppo, utilizzando i diritti speciali di prelievo per sostenere la lotta contro fame e povertà, e riallineando le quote del Fmi in base alle nuove realtà economiche. Infine, sul commercio globale, viene avanzata la proposta di un sistema più equo e trasparente, con una riforma dell’Omc che preveda una risoluzione delle controversie accessibile a tutti i membri. I Paesi interessati possono formalizzare l’adesione inviando una comunicazione alle rappresentanze diplomatiche brasiliane o direttamente alla presidenza del G20 a Brasilia.

Con Lula momentaneamente fuori dalla scena per un infortunio domestico che gli ha impedito di partecipare al vertice Brics in Russia, il Brasile si trova di fronte a sfide complesse. Mentre alcuni Paesi più vicini a Putin desiderano trasformare il gruppo in un’alleanza più esplicitamente anti-occidentale, l’Itamaraty, il ministero degli Esteri brasiliano, è tra quelli che ha lavorato più intensamente per cercare di mantenere la vocazione originaria del gruppo. Equilibrio, appunto. Il Brasile considera infatti il gruppo come un forum alternativo per rivendicare il suo posto nella governance globale, ma non intende declinarlo in un progetto anti-occidentale. Il recente veto del Brasile sull’ingresso del Venezuela nei Brics è un esempio di come sia crescente il disagio nelle cerchie della politica estera brasiliana, dove si teme un’eccessiva politicizzazione del gruppo.

D’altronde, nonostante la Cina sia da tempo il principale partner commerciale del Brasile, Stati Uniti e Unione Europea rappresentano pilastri con cui Brasilia non intende rompere, anzi. Ma le realtà occidentali sono anche fonte di pressione. Per esempio, i legislatori europei stanno infatti spingendo il Brasile a contrastare la deforestazione, condizione essenziale per mantenere le esportazioni agricole verso l’Europa. E però, un eventuale passo verso la Cina per sostenere queste pressioni, rischierebbe di oscurare l’agenda diplomatica brasiliana, riducendo la capacità di Lula di definire la sua leadership in un momento così cruciale. In questo, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca impone a Brasilia una ricalibratura del messaggio della sua politica estera.

In un mondo in cui molti Paesi prendono posizione nel divario tra Occidente e Cina, il Brasile cerca di collocarsi al centro, impegnato a combattere la povertà e promuovere la crescita economica senza entrare in uno scontro diretto. Anche perché sul fronte interno, al di là dei benefici che (come visto con l’Italia) sono stati limitati, un’adesione alla Bri potrebbe rendere la politica brasiliana vulnerabile a futuri cambi di leadership. I leader di destra in Brasile potrebbero vedere l’adesione alla Bri come un bersaglio facile da colpire, complicando i rapporti con Pechino. Inoltre, la struttura opaca dell’iniziativa cinese e l’associazione con un’economia di Pechino non in fase eccezionale, riducono l’attrattiva di questa opzione in un contesto mediatico attento ai cambiamenti nel rating degli investimenti del Brasile.

Nel frattempo, gli Stati Uniti mantengono una solida presenza a Brasilia, come dimostra il gigantesco nuovo complesso dell’ambasciata in costruzione, un investimento a lungo termine che simboleggia la storica partnership tra i due Paesi. Washington ha già esercitato un’influenza sottile sul Brasile in ambito militare durante l’ultimo ciclo elettorale, contribuendo, secondo alcune fonti, a scongiurare un possibile colpo di Stato da parte di Bolsonaro. La presenza dell’ambasciata segnala che Washington continuerà a monitorare da vicino le mosse internazionali del Brasile, come confermato d’altronde dal readout della recente telefonata tra Lula e il presidente uscente Joe Biden.

“In definitiva, sebbene il settore agroalimentare brasiliano possa trarre beneficio dalla Bri, il Paese potrebbe comunque ottenere accordi favorevoli attraverso il proprio stile di diplomazia”, scrive Thiago Bessimo, co-founder e Institutional Director di Observa China. “I commenti di Amorim, sebbene ambigui, sono un esercizio di autonomia—chiarendo che aderire alla Bri riguarda meno l’ideologia e più il tempismo. Mentre il Brasile assume un ruolo centrale al G20, il governo di Lula è attento a non schierarsi da una parte sola, optando invece per l’approccio sempre cordiale alla politica estera: cortese ma indipendente”.

 

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