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Negli ultimi anni, l’Italia si è trovata al centro di un fenomeno nuovo e insidioso: la repressione politica transnazionale orchestrata dalla Federazione Russa. Il report congiunto “La risposta delle autorità italiane agli episodi di repressione transnazionale”, a cura di Federazione Italiana Diritti Umani (Fidu) e dall’International Partnership for Human Rights (Iphr), documenta le modalità – ufficiali e occulte – con cui il Cremlino estende le sue pressioni sul nostro territorio, mettendo a dura prova istituzioni e vittime.

Quando la minaccia è “importata”

Ecco alcuni casi studio del rapporto. A dicembre 2023, Alexander Rubtsov, ex dirigente dell’aeronautica russa, viene fermato a Bolzano su mandato di arresto russo per presunte frodi del 2019; la Corte di Trento, riconoscendone lo status di rifugiato politico in Lettonia e il rischio di trattamenti degradanti in Russia, ne respinge l’estradizione. Nel dicembre 2021 il regista ucraino Eugene Lavrenchuk, già nel mirino dell’intelligence russa FSB, viene bloccato all’arrivo in Italia a seguito di un’Interpol Red Notice; nonostante la rapida revoca dell’avviso, rimane in carcere per mesi durante le procedure di estradizione, fino al rilascio disposto dalla Corte d’Appello di Napoli. E ancora: una dissidente russa residente a Venezia racconta di aver trovato adesivi con la dicitura “agente straniero” apposti in più punti della città e di aver ricevuto pacchi minacciosi; nonostante denunce e controlli, il procedimento è stato archiviato, lasciandola in uno stato di forte vulnerabilità. Infine, in occasione di un presidio a Rimini in memoria di Alexei Navalny, molti partecipanti hanno chiesto di oscurare i loro volti nei video diffusi sui social, temendo ripercussioni sui familiari rimasti in Russia; le infiltrazioni in gruppi Telegram e le provocazioni di “troll” di Stato mostrano l’efficacia delle tecniche di sorveglianza a distanza.

Le criticità emerse

Sono quattro le criticità che emergono dal rapporto. Prima, nessuna definizione legale di repressione transnazionale: l’assenza di una norma specifica costringe a usare strumenti generici (stalking, minacce), incapaci di cogliere la natura sistemica delle campagne di intimidazione. Seconda, le procedure di estradizione sono lunghe e farraginose: anche dopo la revoca delle Red Notice (il cui abuso da parte di Stati come Russia e Cina è da anni documentato su queste pagine), le persone restano in detenzione cautelare per tempi eccessivi. Terza, la mancanza di canali strutturati di segnalazione: le vittime ignorano dove rivolgersi e spesso rinunciano a denunciare per sfiducia nelle istituzioni. Quarto, uno scarso coordinamento inter-istituzionale: giustizia, forze dell’ordine e ministeri operano in modo frammentato, con scarsa condivisione di informazioni.

Verso una risposta organica e centrata sulla vittima

Per contrastare efficacemente la repressione transnazionale russa, il report raccomanda di: definire legalmente le attività di repressione transnazionale nel codice penale, riconoscendo le sue caratteristiche specifiche; costituire un’unità nazionale dedicata, con competenze comuni tra ministeri dell’Interno, della Giustizia e degli Esteri; elaborare linee guida operative e protocolli di formazione per forze di polizia e magistratura; creare canali protetti di segnalazione, garantendo supporto psicologico, legale e linguistico alle vittime; rafforzare la collaborazione con società civile e partner europei, per condividere pratiche di monitoraggio e difesa. In definitiva, solo con un approccio organico, fondato sulla tutela delle persone più esposte, l’Italia potrà trasformare in prassi concreta la propria leadership nel contrasto alle ingerenze autoritarie sul suolo democratico.

Cosa può fare l’Italia contro la repressione transnazionale. I consigli della Fidu

Un report Fidu-Iphr analizza le strategie di repressione transnazionale della Russia in Italia, documentando quattro casi emblematici, dall’estradizione negata di Rubtsov all’arresto di Lavrenchuk, fino alle intimidazioni a Venezia e all’autocensura nei presidi pubblici. Serve una definizione legale delle attività di repressione transnazionale, avvertono gli autori

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