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Quando si parla del voto di condotta a scuola, ci viene in mente, a noi crepuscolari amanti del cinema classico e d’avanguardia, il bel film (per alcuni un quasi capolavoro) Zéro de conduite (1933) del nizzardo Jean Vigo. Lì dei ragazzi contestavano professori distratti o prepotenti e un ridicolo “proviseur” (preside) che cercava di redarguire allievi di piccola e media borghesia in atteggiamento di rivolta contro la vecchia istituzione scolastica. Con il finale della fuga sui tetti dell’edificio, poi citata anche da Lindsay Anderson in If… (altro film sulla contestazione studentesca, anni Sessanta, in area inglese).

L’intento di Jean Vigo, che ci lascerà in giovane età, figlio di un anarchico, era quello, allegorico, di contestare la società borghese (sin dal documentario À propos de Nice, 1930, – assolutamente da recuperare -), che aveva condotto alla tragedia della Grande Guerra e alle prime dittature fasciste europee (ungherese e italiana: ma Vigo non volle vedere la dittatura sovietica).

Gli studenti, diciamolo subito, hanno diritto, in un sistema democratico, di chiedere le motivazioni dei voti, criticare la didattica di un docente o proporre soluzioni per emendare le “regole” interne (quelle del Regolamento di istituto, seppur approvato da tutte le componenti scolastiche).
È loro concesso, “per consuetudine democratica” (usiamo questo costrutto linguistico elastico) “scioperare” e manifestare, con le relative occupazioni (vietate per legge, ma “tollerate” in sede processuale). Diverso quando le occupazioni recano un danno ai beni o alle persone.

Grazie a Dio abbiamo dei giudici che pongono il discrimine tra l’occupare (che reca comunque una interruzione di servizio per chi lavora e un mancato diritto allo studio per chi frequenta) e il danneggiare.

Recentemente sono in corso delle cause nei confronti di minori (e, probabilmente, anche di coloro che ricoprono la patria potestà, per “culpa in educando”) rei di aver danneggiato seriamente suppellettili e ambienti scolastici (la Anp, associazione dei presidi, si è più volte lamentata per i danni delle occupazioni).

Negli ultimi anni il diritto alla critica e alla contestazione del docente o del dirigente, da parte di allievi e parenti/amici di questi, stando alla cronaca, è tracimato in aggressioni verbali e fisiche. Sempre più genitori iniziano con provocazioni del tipo “ho assistito alla interrogazione di mia figlia, ed era da 6! Perché lei le ha messo 5?” (durante il periodo del Covid). Oppure: “Anche se mio figlio ha gettato il banco dalla finestra non è solo colpa sua. È stato incitato dai compagni, La colpa va divisa”. Affermazioni che di fronte al corretto uso della ragione raggiungono un umorismo involontario nella loro demenzialità, ma ritenute (da adulti con il diritto al voto, alla patente, ecc.) “logiche”. Se il docente o il preside non accetta tale lettura “logica” del genitore, e replica, rischia di essere aggredito, con parole e, sovente, percosse.

È di fronte a tale aberrazione “democratica” (“io la vedo così”), visione trasmessa da certi adulti ai loro figli, con conseguenze di atti aggressivi, che il nuovo ddl del ministro Giuseppe Valditara (approvato ieri in Senato, dovrà passare alla Camera) cerca di porre un limite. Attraverso la reintroduzione del voto di condotta (o comportamento) come determinante per certificare la maturità etica e giuridica del discente e consentirne l’ammissione all’anno successivo. Con un’altra novità: la media del voto in comportamento sarà calcolata su tutto l’anno scolastico e non più sul secondo quadrimestre. Se la valutazione finale è 5 lo studente non sarà ammesso alla classe successiva.

La “bocciatura”, di fronte ad atti aggressivi e reiterati, è già sentenza definitiva per l’allievo che sbaglia? Certamente no. Il ddl prevede che il Consiglio di classe, adotti delle sanzioni educative, ossia, invece della vecchia sospensione dalle lezioni col divieto di accesso a scuola (il maestro che cacciava Antoine dalla classe, in I quattrocento colpi – 1959 – di François Truffaut), si proporrà lo studio delle norme giuridiche violate e un lavoro educativo, sia intellettuale che pratico.

Diversi presidi, tra cui il sottoscritto, da anni adottano tale sistema di recupero educativo e formativo. Con ottimi risultati. Ma per onestà va detto che se un adolescente, ancora minorenne o da poco maggiorenne, si rende responsabile di un fatto grave, o addirittura reiterato, e non intende collaborare per correggere il suo agire e riparare il danno, la «non ammissione» va presa in considerazione.

Esprimo parere favorevole anche sulla riformulazione linguistico-semantica della scala dei giudizi nella scuola primaria: «gravemente insufficiente – sufficiente – buono – ottimo» sono comprensibili per tutti.

Il ddl Valditara sul ripristino del ruolo del voto di condotta non va letto come “autoritario” o “repressivo” o di “destra”. Per molti genitori, studenti e lavoratori della scuola era necessario. Pareri ai quali mi permetto di aggiungere anche il mio, dopo 37 anni di servizio.

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