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L’attacco contro l’Iran condotto con ogni probabilità da Israele potrebbe aver prodotto una nuova composizione degli equilibri, seppure non risolvendo lo scontro in corso tra Gerusalemme e Teheran. Nel dilemma tra tattica e strategia, Israele avrebbero scelto di colpire ma in modo tale da non scombussolare la situazione già tesissima.

Per Riccardo Alcaro, coordinatore delle ricerche dello Iai e responsabile del programma Attori Globali dell’istituto, Israele potrebbe aver fatto una scelta in funzione di una serie di interessi che vanno dal non guastare ulteriormente le relazioni con i partner occidentali (per primi gli Stati Uniti, che hanno dichiarato di essere stati informati, ma di non aver condiviso la decisione), e con gli altri attori regionali.

“Inoltre, potrebbe esserci stata anche una generale riflessione sulle capacità iraniane, perché Teheran avrebbe poi risposto e potenzialmente inferto danni: e questo avrebbero più creato che risolto problemi al governo Netanyahu”, spiega Alcaro in una conversazione con Formiche.net.

Se l’attacco si fermerà qui, ossia non ci saranno altri raid collegati e più profondi, allora significa che abbiamo evitato il peggio? “Probabilmente, se restiamo su questo livello, abbiamo interrotto la catena escalatoria. L’attacco ha anche rappresentato uno slittamento della dottrina di deterrenza israeliana, perché sebbene sia stato rispettato il principio secondo cui Israele deve sempre colpire per ultimo, è saltato quello secondo cui deve colpire sempre più forte”, risponde Alcaro.

Il raid, che Israele non ha confermato, è stato di entità minima, tale per cui Teheran può usare la propaganda per dire che non è nemmeno avvenuto. L’assenza di spettacolarizzazione, rispetto alla maestosità coreografica dell’attacco iraniano di domenica scorsa, indica anche la volontà di de-escalare, accettando pressioni che sono arrivate un po’ da ovunque. Per esempio, nel communiqué condiviso oggi dai ministri degli Esteri del G7 riuniti in questi giorni a Capri, c’è scritto: “Alla luce delle notizie relative agli attacchi del 19 aprile, esortiamo tutte le parti a lavorare per evitare un’ulteriore escalation. Il G7 continuerà a lavorare in tal senso”.

Da quando successo emerge un messaggio chiaro: Israele può colpire fino in profondità in Iran, come per altro già avvenuto in passato in varie occasioni. Tanto più se venissero confermate le ricostruzioni secondo cui i droni lanciati sulla base di Isfahan — target simbolico del raid, visto che la base dell’aeronautica colpita si trova nella stessa città di un impianto nucleare — fossero partiti dall’interno del territorio iraniano: questo dimostrerebbe non solo la capacità operativa israeliana, ma anche la debolezza interne alla sicurezza iraniana. Ma c’è di più. “Se così fosse, significherebbe però che Israele ha scelto di non equilibrare la deterrenza con un’azione da territorio a territorio, a causa delle pressioni internazionali ma anche di un’effettiva cautela nel considerare la reazione iraniana: combinazione che ha avuto un effetto più significativo di quanto si prevedeva”, spiega Alcaro.

Al di là dell’essere usciti per ora dalla traiettoria di escalation, cosa possiamo aspettarci? “Non vedo in alcun modo Israele prevenuto nel non continuare a procedere con attacchi nella zona grigia, ossia verso obiettivi dell’Irgc (acronimo del Corpo dei Guardiani della rivoluzione islamica, i Pasdaran, ndr) in Siria o alti esponenti di Hezbollah: Israele non credo si senta in alcun modo vincolato dalle reciprocità stabilità dall’Iran con l’attacco di domenica scorsa, anche se immagino che possa pensarci due volte prima di azioni come quella del consolato di Damasco che ha dato il via a questo scambio”, risponde l’analista dello Iai.

Secondo Alcaro, fermato lo scambio con l’Iran, “per Israele il problema è che si torna a parlare della guerra nella Striscia di Gaza”. E qui si apre una nuova fase di pressione diplomatica attorno allo stato ebraico, sollevata anche nelle dichiarazioni del ministro degli Esteri Antonio Tajani a conclusione della ministeriale G7: “Abbiamo ribadito il no all’offensiva militare a Rafah”, ha detto ricordando che il G7 lavora per la de-escalation e per la soluzione a Due Stati.

Oggi, a Washington, funzionari americani e israeliani parleranno dell’evoluzione del conflitto e in particolare dell’azione militare israeliana sulla città al confine egiziano. Un attacco che potrebbe innescare un’enorme crisi umanitaria, ma anche alterare nuovamente gli equilibri regionali, sia quelli con il mondo araba che con la Repubblica islamica. Quanto accaduto stamattina e l’incontro in programma, nonché le parole di Tajani smentiscono le notizie riguardo a un fantomatico via libera all’invasione di Rafah che gli Stati Uniti avrebbero concesso in cambio dell’assenza di un attacco israeliano in Iran (informazione fatta circolare da alcune fonti egiziane probabilmente per ottenere l’opposto).

Ristabiliti i non-equilibri tra Iran e Israele. Cosa aspettarsi secondo Alcaro

“Alla luce delle notizie relative agli attacchi del 19 aprile, esortiamo tutte le parti a lavorare per evitare un’ulteriore escalation. Il G7 continuerà a lavorare in tal senso”, si legge nel comunicato congiunto dopo la riunione ministeriale del gruppo. Per Alcaro (Iai), se non ci saranno ulteriori attacchi si è per ora usciti dalla traiettoria dell’escalation. Tuttavia Israele non smetterà di compiere operazioni nella zona grigia contro l’Iran

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