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Un atto finale di derenzizzazione del Pd che forse fa scomparire le parole centrodestra e centrosinistra. Questa la percezione che, dopo le primarie che hanno incoronato Elly Schlein alla segreteria, Paolo Franchi affida a Formiche.net nella consapevolezza che si mette “il più clamoroso dei timbri alla fine di un Pd che era già morto e rappresenta un dato del tutto inedito”. In questa articolata conversazione l’editorialista del Corriere della Sera, già direttore del Riformista e scrittore (“Il Pci e l’eredità di Turati” il suo ultimo lavoro per La nave di Teseo), affronta i nordi gordiani che hanno caratterizzato i democratici, dal Lingotto ad oggi.

La vittoria di Elly Schlein rappresenta una virata secca rispetto alle tesi del Lingotto?

Vedo due questioni: prima di stabilire se è una virata secca, dovremmo chiederci cosa c’entrasse, nel bene o nel male, il Pd attuale con le tesi del Lingotto. Credo ci sia il timore che la cosa non funzionasse dall’origine. Ricordo un libro del grandissimo Emanuele Macaluso che, nel giorno della celebrazione del Lingotto, già contemplava il futuro: era intitolato “Al capolinea” in cui spiegava perché quel Pd non sarebbe andato da nessuna parte. Che quella linea non avrebbe funzionato lo dimostrarono le successive dimissioni di Walter Veltroni all’indomani delle elezioni regionali. Poi ci sono stati Bersani e Renzi, ma senza voler fare la storia degli ultimi 18 anni del Pd, osservo che è stato un oggetto senz’anima e senza identità.

Cosa è stato?

Un partito di servizio e di sistema che, comunque andassero le elezioni, restava dentro le varie maggioranze con diverse formule. Il risultato delle ultime elezioni non è stato solo la sconfitta del Pd, ma ha fotografato una circostanza oggettiva: non esiste proprio più la possibilità di una certa postura e dunque, da questo punto di vista, è evidente che il partito si ritrova senza linea di rinnovamento nella continuità, come si diceva nel vecchio linguaggio comunista.

Una candidata non iscritta ha battuto un candidato spiccatamente di partito che amministra sotto l’egida del Pd. Un altro segnale preciso?

Questo ci dà una contraddizione fantastica, perché una signora che non è iscritta e che anni fa aveva tentato altre strade dopo la questione dei 100, è stata eletta segretario da una maggioranza di non iscritti. Mette il più clamoroso dei timbri alla fine di un Pd che era già morto e rappresenta un dato del tutto inedito. Questo voto è lo specchio di un mondo: poi come sarà fatto questo mondo lo vedremo. Posso solo dire che, ai lati di questo Pd, vedo rinascere un qualcosa in cui credo. Inoltre il fatto che siano andati a votare più di un milione di persone è certamente molto meno di tutte le primarie precedenti, ma molto di più di quanto gli altri partiti sono stati capaci di fare in una domenica piovosa. Più in generale, non credo che Bonaccini possa mette in conto a Veltroni la sua sconfitta.

Può contribuire, da un lato, allo scostamento dei centristi piddini che non si sentirebbero rappresentati dalla sinistra-sinistra del nuovo segretario e, dall’altro, ad un’opa del bacino elettorale del M5S?

Occorrerà valutare adesso alcuni fattori che si intrecceranno, primo fra tutti come reagiranno Matteo Renzi e i renziani nel Pd. Qualcuno più cattivo oserebbe chiedersi come si regolerà Renzi rispetto alla collocazione dei suoi supporters rimasti comunque all’interno del Pd. Io non credo che se andassero via sarebbe ciò la fonte di ulteriori danni elettorali: ma queste sono supposizioni, poi bisogna vedere cosa noi intendiamo per sinistra-sinistra. Sarà interessante cogliere le fattezze ideologiche di Schlein e capire se potranno servire a recuperare un pezzo dell’elettorato che è finito ai 5Stelle oltre che a recuperare un pezzo di astensione. Sono queste le cose di cui lei si dovrà occupare, non di andare al governo domani o dopodomani. Inoltre da un giro di orizzonti su Twitter per vedere le reazioni, mi sono accorto di molti rimpianti per il vecchio Pd che sembra un Pd curiosamente identificato con il vecchio Pci. Rimpianti espressi da elettori dichiaratamente di destra ma non da operai e da iscritti. Ciò mi sembra la fotografia di una cosa che avevamo già davanti agli occhi, ma che non volevamo vedere per quello che era: ovvero lo stato dell’arte. Una fase è finita, pur in questo modo clamoroso e sancisce il lancio di un ponte verso più mondi da un luogo che sta sprofondando. Il voto è espresso da chi non gradisce l’idea di costruire una prospettiva con Renzi e Calenda.

Giorgia Meloni ha costruito il suo partito su un modello novecentesco, con tesi, identità e sezioni dopo il partito liquido berlusconiano e dopo la rete grillina. Anche Schlein, che ha valori non negoziabili e crede in certi principi che chiaramente inserirà nel suo programma, presenta questa veste?

È possibile. Meloni ha fatto un percorso un po’ diverso non solo politicamente: ha tirato su un partito, oltre che un partito novecentesco. Il dato clamoroso emerso dalle ultime elezioni politiche è che, mentre negli ultimi anni tutti chiedevano di lasciarci alle spalle il Novecento, ha vinto proprio il partito più novecentesco ovvero Fratelli d’Italia, che è proprio un partito. Tornando ai valori, ciò ci dice che adesso avremo una destra al governo e una sinistra all’opposizione, che si scontreranno su due basi valoriali distinte e distanti: questo potrebbe smentire la tesi secondo cui la leadership del Paese si contende al centro. Da oggi, forse, non valgono più centrodestra e centrosinistra, sono due parole che scompaiono e da questo punto di vista Schlein, al di là dell’appoggio strumentale che le daranno logicamente Franceschini piuttosto che Boccia, ha un punto di forza non nella struttura-partito ma in quel reticolo fatto da movimenti e mondi giovanili. Il voto di ieri è stato l’atto finale di derenzizzazione del Pd.

@FDepalo

Il Pd di Schlein? L'atto finale di derenzizzazione secondo Franchi

“Da oggi, forse, non valgono più le parole centrodestra e centrosinistra. Ha vinto una signora che non è iscritta e che è stata eletta segretario da una maggioranza di non iscritti. Mette il più clamoroso dei timbri alla fine di un Pd che era già morto”. Conversazione con l’editorialista del Corriere della Sera

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